Miliziani islamisti hanno catturato ieri 43 caschi blu al confine tra Siria e Israele: «Dopo i duri scontri tra le forze militari siriane e elementi armati nell’area di separazione nelle Alture del Golan – si legge nel comunicato di ieri dell’Onu – 43 caschi blu dell’Undof sono stati presi da un gruppo armato vicino Quneitra». Altri 81 osservatori sarebbero intrappolati tra Ar Ruwayhinah e Burayqah, nella zona cuscinetto lunga 70 km, dal confine libanese a quello giordano, dove si svolgono le attività di interposizione delle Nazioni Unite a cui prendono parte 1.200 caschi blu di sei diversi paesi.

Non è ancora chiaro quale gruppo sia responsabile della cattura, arrivata dopo la presa da parte del Fronte al-Nusra e di altre milizie qaediste dell’unico valico di frontiera tra Siria e Israele, nella provincia di Quneitra. Campo di battaglia per il controllo della lingua di terra che divide i due paesi sono anche le vicine comunità di Tal Kroum, Jaba e Rawadi, sulle quali Damasco ha fatto piovere ieri bombe sulle postazioni ribelli. Commenti ai raid governativi sono giunti dallo stesso Fronte al-Nusra che ha assicurato che i propri miliziani mantengono il controllo del valico, fondamentale perché possibile punto di partenza di un’offensiva contro la capitale, a soli 40 km.

Al-Nusra e Brigate Beit al Maqdis – che oggi hanno in mano parte dei villaggi di Quneitra (non il capoluogo, ancora sotto Damasco) – hanno affollato il sud della Siria negli ultimi mesi, spinti dall’avanzata dell’Isis che a nord est, da Aleppo alla provincia di Deir al-Zor, ha fatto piazza pulita delle opposizioni rivali, moderate e qaediste.

Dall’altra parte della frontiera a combattere contro lo Stato Islamico è la fragile alleanza Irbil-Baghdad. Da qualche giorno i raid Usa sono quasi cessati e a peshmerga e soldati iracheni restano le operazioni via terra: ieri hanno riassunto il controllo di due giacimenti petroliferi, Batma e Ain Zala, e hanno avviato la controffensiva per la ripresa della città di Zummar, nella provincia di Ninawa. Ripresi dai miliziani kurdi anche sette villaggi a nord della diga di Mosul, da cui le bandiere nere dell’Isil erano state tolte lo scorso 19 agosto dopo settimane di controllo jihadista. Vittorie incassate anche dal governo di Baghdad che ieri ha ripreso il controllo del villaggio di al-Hamra, vicino Tikrit, e la strada di collegamento tra una base militare e la strategica raffineria di Baiji, nel mirino dell’Isil da un mese.

Operazioni di terra che proseguono mentre nelle stanze dei bottoni di Washington si discute di eventuali bombardamenti intorno alla comunità turkmena sotto assedio di Amerli. Bombe “umanitarie” quelle sganciate dai jet Usa in Iraq e che ad oggi sembrano servire solo a una maggiore definizione dei confini ufficiosi nati dall’avanzata dell’Isis e tracciati secondo linee settarie.

Nessuna risposta su un possibile intervento nella vicina Siria. Secondo funzionari della Casa Bianca, il presidente aspetterà il summit della Nato a fine settembre per vagliare la possibilità di una nuova coalizione di volenterosi. Ma i dubbi restano sulle modalità di un’azione che non abbia la controindicazione di sostenere il nemico Assad. La Siria non è l’Iraq: Washington in territorio siriano non ha una rete di intelligence radicata e le informazioni su movimenti di miliziani e armi e strategie di avanzamento sono insufficienti. Una mancanza apparsa chiara nel tentativo fallito di salvare il reporter Foley dalle mani di al-Baghdadi.