Mario Draghi è inciampato nella Lega di Salvini che ha inteso l’annunciata «riformulazione del catasto» come la premessa per aumentare le tasse sulla casa. Un’eventualità considerata uno spettro dalla politica italiana. «L’impegno del governo è che nessuno pagherà di più o di meno» ha precisato Draghi nella conferenza stampa seguita allo strappo della Lega che ha lasciato la cabina di regia e non si è presentata al consiglio dei ministri. Secondo il presidente del consiglio l’intervento contenuto nella legge delega fiscale, non il più importante in uno schema ancora vago, consisterebbe solo nell’«accatastare tutto quello che non lo è: terreni e abitazioni» e nella «revisione delle rendite». Obiettivo dell’operazione sarebbe la riemersione degli «immobili fantasma» , forse un milione. Oltre alla contestazione del «metodo» – Draghi che avrebbe presentato un testo di cui si è già discusso nella maggioranza mezz’ora prima della sua approvazione – Salvini ha citato una stima di Confedilizia secondo la quale la manutenzione degli estimi vecchi di decenni richiesta dalla Commissione Ue porterebbe a un «salasso» della tassazione sugli immobili pari al «40%», nel «2026» come si legge nel testo della legge delega. Concetto ribadito ieri dal presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa secondo il quale «l’aumento delle tasse» è solo «rinviato», mentre oggi si tratterebbe di rimediare alla triplicazione dell’imposizione patrimoniale, avvenuta a causa del governo Monti: dai 9 miliardi di Ici nel 2012 agli attuali 20-22 di Imu.

Lo scontro sul valore attuale e futuribile del mattone è stato messo sotto il tappeto fino a ieri. Draghi ieri ha trascurato un elemento evidenziato da Salvini. Il tentativo di «riformulare» il catasto, già tentato da Monti e da Renzi, era stato accantonato dai partiti della maggioranza Frankenstein (con Lega e Forza Italia in testa) nella relazione di indirizzo approvata dalle Commissioni Finanze del Senato e della Camera lo scorso 30 giugno poi recepita dall’aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef) approvato dal governo la settimana scorsa. Nei tre mesi trascorsi in un gioco delle parti in cui prevale più la reticenza che i dati certi l’idea di cambiare l’unità di misura dal numero dei vani al metro quadrato, il cuore della riforma del catasto, è diventata la trincea dove appostarsi a difesa del «draghismo» oppure per sventolare la bandiera dell’opposizione restando nel governo. Tuttavia la direzione è segnata: una riforma fiscale va fatta per ottenere i fondi europei nel «piano di ripresa e resilienza» (Pnrr).

Draghi e il ministro dell’economia Daniele Franco hanno insistito sul fatto che la legge delega è poco più di una «scatola», che sarà riempita tra cinque anni, e che non ci sarà un aumento del gettito fiscale bensì una sua diminuzione complessiva, in particolare per quanto riguarda la tassa sul reddito delle persone fisiche Irpef che risulta disallineata rispetto alla media europea e a quella Ocse. A tale proposito la Corte dei Conti ha parlato di «una concentrazione quasi esclusiva» del tributo su lavoro dipendente e pensioni, «compromettendo» l’equità, «molto sbilanciata sui redditi medi», cioè sulla fascia 28-55 mila euro che dovrebbe essere rimodulata. A questo Salvini ha obiettato che la legge delega attribuisce al parlamento un ruolo consultivo al termine dei 18 mesi dati al governo per varare i decreti attuativi. Nel frattempo Draghi potrebbe ascendere al Quirinale. E il prossimo governo potrebbe applicare diversamente i criteri della delega.

Sul primo vero atto politico del governo Draghi gravano altre incognite, a cominciare dalla scarsità delle risorse. Le rimodulazioni dell’Irpef, dell’Ires, dell’Iva e delle detrazioni, il superamento «graduale» dell’Irap che non dovrebbe intaccare la sanità, il taglio del cuneo fiscale sul lavoro richiedono fondi che per la Corte dei Conti non ci sono. Il governo punta sulla lotta all’evasione fiscale (4,3 miliardi oggi più 2 miliardi accantonati). Il gettito però non è strutturale. Resta il rebus di come si finanzia una riforma fiscale senza aumentare le tasse. Il governo non sembra intenzionato a una redistribuzione e prospetta un ingegneria tributaria nell’ottica delle «riforme abilitanti» del mercato, non alla sua trasformazione secondo criteri di giustizia.