Il 2019 vedrà diversi lanci storici dalle basi spaziali terrestri. I primi due porteranno degli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss), e fin qui non è una grande novità: da quasi vent’anni oltre duecento astronauti e cosmonauti si sono alternati sulla stazione. Per la prima volta, però, nel 2019 a portarli in orbita saranno navette spaziali private. Nel mese di giugno è previsto il primo lancio con equipaggio della capsula «Crew Dragon», con destinazione Iss.
La «Dragon» è realizzata e lanciata dalla società SpaceX, una delle aziende fondate dal sudafricano Elon Musk. Lo spericolato imprenditore ha abituato il mondo a marce indietro improvvise, stop imprevisti, promesse non mantenute, soprattutto con la sua azienda automobilistica Tesla. Finora, però, la preparazione del lancio del Dragon è proseguita con una certa regolarità. D’altronde, i razzi di Musk sono già utilizzati regolarmente per mettere in orbita satelliti o per recapitare viveri sulla Iss e vantano una certa affidabilità. I primi due astronauti Nasa a sperimentare il volo spaziale privato saranno Doug Hurley e Bob Behnken.
Il lancio di SpaceX precederà solo di pochi mesi l’analogo tentativo di un’altra società privata, la Boeing, che dovrebbe effettuare un simile volo in agosto 2019, stavolta con tre persone a bordo, gli statunitensi Chris Ferguson, Eric Boe e Nicole Mann. Anche la Boeing in passato ha dovuto rivedere la tabella di marcia verso l’inizio dell’avventura spaziale privata, ma stavolta la Nasa non accetterà altri rinvii: a novembre 2019 scade il contratto di collaborazione con la Russia, che finora garantisce con le sue Soyuz i viaggi di andata e ritorno alla Iss. La Stazione andrà comunque in pensione nel 2024, e a quel punto il monopolio su viaggi e soggiorni spaziali toccherà alla Cina, se i piani di messa in orbita della stazione spaziale cinese saranno rispettati.

VERSO LE STELLE
L’altro lancio di cui sentiremo parlare avrà luogo tra il 15 ottobre e il 14 novembre 2019. Si tratta del telescopio spaziale Cheops operato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa), realizzato appositamente per studiare pianeti extrasolari di dimensioni comprese tra quelle della Terra e quelle di Nettuno. Cheops sarà puntato verso le stelle che ospitano sistemi di pianeti in orbita analoghi al nostro sistema solare, e grazie ai suoi strumenti sarà in grado di determinare la densità, la composizione e dunque la storia evolutiva di questi «esopianeti». Ogni nuovo pianeta, c’è da aspettarselo, verrà annunciato come una terra gemella su cui potenzialmente potrebbero esserci alieni. Ma gli esopianeti finora avvistati sono troppo lontani anche solo per immaginare un qualunque contatto con noi. Meglio rimanere con i piedi per Terra.

FRA VIRUS E GENI
Alla fine del 2018, la conferenza mondiale di Hong Kong sulle modifiche genetiche è stata sconvolta dall’annuncio da parte del cinese Jiangku He della nascita delle prime gemelle geneticamente modificate, in barba a ogni regola bioetica che vieta simili esperimenti. Sulla realtà delle sue affermazioni si sa ancora pochissimo (l’inchiesta cinese è in corso) e potrebbe essersi trattato solo di un bluff. Ma alla conferenza anche altri scienziati avevano fatto capire di essere pronti a modificare geneticamente gli embrioni. Diversi ricercatori hanno progetti in proposito, e le associazioni di pazienti scalpitano. Per ora si parla di modificare embrioni destinati alla distruzione per verificare la possibilità e la sicurezza di curare le malattie genetiche, ma la strada è tracciata e nel giro di qualche anno inizieranno le prime sperimentazioni umane, stavolta con tutte le autorizzazioni e le garanzie del caso. Il 2019, dunque, potrebbe essere un anno chiave: verranno stabilite le linee guida per le future sperimentazioni (si comincerebbe con topi e scimmie, prima di iniziare con l’uomo) e verranno identificati i primi geni candidati alla «correzione». Alla fine del 2019, la cura per via genetica di alcune malattie potrebbe essere più che una semplice speranza. Magari nel frattempo se ne sarà accorta anche la politica e sarà iniziata davvero una discussione pubblica su rischi e opportunità di terapie che fino a ieri si vedevano solo nei film di fantascienza.
Il 2019, però, si aprirà come si è chiuso il 2018: con la peggiore epidemia di Ebola nella storia della Repubblica Democratica del Congo. Nell’indifferenza mondiale, i morti nel nord Kivu a fine 2018 hanno superato quota 340, con gli operatori sanitari costretti a lavorare in mezzo in condizioni ambientali difficili, tra infrastrutture assenti, scorribande delle milizie filo e anti-governative, e migliaia di profughi in fuga a cavallo dei confini con Uganda e Ruanda.
L’unica speranza viene da una serie di vaccini in diverse fasi di sperimentazione. Quello più avanzato è già stato distribuito alla popolazione a rischio in oltre cinquantamila dosi ed è prodotto dalla Merck. Per una malattia come Ebola, lo scoppio di un’epidemia fornisce un numero sufficiente di casi per stabilire l’efficacia e la sicurezza di un vaccino candidato.
Nel 2019, quindi, si conoscerà il reale livello di efficacia del vaccino somministrato, che potrebbe diventare un farmaco a tutti gli effetti e potenziare la risposta all’epidemia. A quel punto, sarà decisivo che l’Organizzazione mondiale della sanità e le altre organizzazioni umanitarie si coalizzino affinché il vaccino sia reso accessibile a tutti in una delle zone più povere del pianeta, e che le solite strategie brevettuali non ostacolino il soccorso alla popolazione. Ma senza la fine degli scontri armati e una maggiore fiducia nei confronti degli operatori sanitari da parte della popolazione non basterà nemmeno il miglior vaccino.

SCIE CHIMICHE
Mentre Trump, Bolsonaro e altri leader globali si affannano a negare la realtà della crisi climatica, anche i cosiddetti «buoni» dell’Unione Europea non stanno facendo granché per limitare le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento dell’atmosfera. Le stime per il 2018 parlano anzi di un’accelerazione delle emissioni (+2,7%) che ci avvicina ancor di più al punto di non ritorno di 1,5 °C in più rispetto all’era pre-industriale. Dopo tanti vacui impegni della politica, ancor meno credibili in tempi di crisi economica e populismi diffusi, gli scienziati tenteranno ora una strada alternativa: immettere in atmosfera degli aerosol che riflettano la luce solare. Nel 2019 inizieranno le sperimentazioni sul campo del progetto «Scopex» (Stratospheric Controlled Perturbation Experiment) concepito dal gruppo di ricerca dell’università di Harvard (Boston, Usa) diretto dal chimico quarantasettenne Franck Keutsch. Da un pallone aerostatico a venti chilometri di altitudine verranno disperse polveri di carbonato di calcio, per studiarne il movimento e la dispersione. Esperimenti simili finora li ha condotti solo la natura stessa: nel 1991, le polveri rilasciate dall’eruzione del vulcano del Monte Pinatubo (Filippine) provocarono un abbassamento della temperatura globale di 0,5 °C durato un anno e mezzo.
Scopex non è l’unico progetto di solar engineering elaborato, ma forse è quello più avanzato e si sta attirando anche parecchie critiche: oltre all’impatto sull’ambiente, ancora non ben valutato, l’idea preoccupa molti ambientalisti perché potrebbe distrarre dall’obiettivo principale, che resta la limitazione delle emissioni. E potrebbe dunque fornire un alibi ai negazionisti climatici.