In una regione rarefatta il capoluogo è dovunque e in nessun luogo. Investita da progetti di ampliamento e strattonata dai gruppi di potere, è divenuta una città diffusa, Catanzaro. Aggrappata ai suoi altissimi ponti, scivola verso valle, s’inerpica su dolci collinette, assorbe i flussi burocratici di un territorio enorme, fornisce servizi a un’utenza vasta, eppure fatica a ritrovarsi.

TRISTI COLLI Ha subìto trasformazioni urbanistiche e sociali notevoli nell’ultimo decennio. Avrebbe delle potenzialità turistiche elevate, vista la bizantina bellezza e soprattutto la varietà del territorio circostante. Invece arranca, dilaniata da perversi giochi politici e interessi loschi, con un tasso di disoccupazione del 22,7 per cento e un crescente esodo per motivi di lavoro che colloca la regione al quarto posto nella graduatoria nazionale di un fenomeno cresciuto del 54,9 % negli ultimi dieci anni. A dettar legge sono le immancabili lobby legate all’edilizia. Un bel pezzo di città è stata trascinata nella zona di Germaneto. Qui come a Cosenza, è destino che in Calabria l’università debba rimanere un corpo estraneo. A Catanzaro sorge nella zona di Germaneto, come il vicino polo sanitario.

Di fatto è una città parallela, sganciata dal restante territorio. Un altro pezzo importante di capoluogo, quello della distribuzione, si è sviluppato verso la vicinissima costa jonica, dove la recente riqualificazione ha restituito alla collettività una pineta molto suggestiva, il lungomare e un porto ormai quasi completato. Peccato che il lido di Catanzaro abbia solo il nome. Tra il centro e la sua periferia marittima, ricettacolo della movida, è palpabile un’altra frattura, non solo urbanistica.

Lungo la strada che dovrebbe unire il mare e la collina, infatti scorrono in sequenza i rioni popolari degradati, simboli di un riscatto sociale mai avvenuto. Le palazzine dei quartieri Corvo, Aranceto e Fortuna allevano un disagio che diviene serbatoio della criminalità. Qui come altrove, di istituzionale c’è poco, a parte le periodiche retate contro lo spaccio.

Ad intervenire contro la dispersione scolastica, e a tentare di prevenire la circolazione di droghe, è soprattutto l’associazionismo, operativo nella difficile impresa di chiudere il serbatoio umano al quale attingono le ‘ndrine joniche, da sempre signore incontrastate del malaffare nel capoluogo, a tutti i livelli.

Più in alto, il cuore del centro urbano è storia a sé. Alcuni grossi edifici aspettano una destinazione d’uso. Per sua espressa volontà, ospitando la locale procura guidata da Nicola Gratteri, l’ex ospedale militare diventerà la centrale operativa della lotta alle mafie calabresi. Curato e conservato bene, affascinante nelle architetture, il nucleo storico della città appare sempre più isolato dal restante contesto, abitato da una popolazione di elevata età media. Tra i siti d’eccellenza, sorti sul crinale del millennio, spiccano il parco della biodiversità e il museo del rock.

BLOCCHI DI POTERE A Catanzaro le elezioni sono come una saga. Possono durare anche all’infinito. Nel 2012 il Tar annullò i verbali di proclamazione del sindaco e ordinò il ritorno alle urne in 8 sezioni. Si scoprirono irregolarità di ogni tipo. Si apprese che ben 27 persone avevano votato due volte, un’enormità se si pensa che le elezioni furono decise da appena 150 preferenze a favore del sindaco, Sergio Abramo (Fi), ai danni dello sfidante, Salvatore Scalzo (Pd).

Nonostante ciò, le elezioni non furono annullate ma solo ripetute nelle sezioni incriminate dove, otto mesi dopo, Abramo stravinse e fu rimesso al suo posto. I seggi «taroccati» si trovavano per lo più a Catanzaro Lido. Ed è proprio dalla marineria del capoluogo che iniziamo questo viaggio preelettorale. Il golfo di Squillace e la scogliera di Copanello, a nord e a sud, fanno da sfondo in una giornata sferzata dal grecale. Mario Vallone ci aspetta in un bar sul lungomare.

È il presidente dell’Anpi Catanzaro ed è il collante della sinistra locale, una specie di mastice senza il quale una sinistra già moribonda non saprebbe neanche dove incontrarsi. «Sabato andremo a deporre una corona di fiori a Casignana, luogo della più grande strage fascista in Calabria, e poi ci recheremo a Brancaleone dove venne confinato Cesare Pavese», dice snocciolando i dati sull’attività della sezione più grande in regione e tra le più corpose del Sud: 280 iscritti, 40 iniziative all’anno, due corsi all’università sulla «sociologia della sopravvivenza» e tanto altro.

Malgrado l’attivismo dei partigiani, la sinistra a queste latitudini è un fantasma. Per la prima volta non vi sarà alcun riferimento nei simboli, la sinistra rinuncia a partecipare alle elezioni sotto le consuete effigi. «E dire che qui ci sarebbe tanto bisogno di sinistra», continua Vallone. «Il Pd sta raccattando pezzi di ceto politico di destra e persino di estrema destra».

«Il blocco di potere che aveva garantito l’elezione di Abramo ha traslocato in casa dem. Il sindaco lascia una città allo sbando, svuotata, senza un’idea di sviluppo basata sul progresso, con un sistema di mobilità imbarazzante e una università che non produce cultura. Una città con pochissime librerie dove non c’è fermento sociale ma solo sagre e fiere. Insomma, un disastro». Abramo ha lasciato le aziende di famiglia, un impero di call center, e ha litigato col fratello Gianni che, per tutta risposta, oggi sostiene Enzo Ciconte (Pd), candidato di un lenzuolo di dieci liste.

Abramo, perso il sostegno del fratello e anche del gruppo imprenditoriale di Floriano Noto (il re dei supermercati, passato anch’egli con il Pd), incassa il ritorno a casa degli alfaniani, tradizionalmente forti in Calabria. Ma potrebbe non bastargli per il quarto mandato.

UN GOL ALLA PALANCA Professore di Diritto ecclesiastico, animatore del movimento Slow Food, ideatore del collettivo di scrittori «Lou Palanca», sulla scia dei Wu Ming bolognesi, curatore dell’archivio digitale sul processo di Piazza Fontana, che nell’ottobre del 1972 venne strappato al giudice milanese dalla Corte di Cassazione e spostato nel capoluogo calabro, e oggi candidato a sindaco, Nicola Fiorita ci prova in quella che pare un’impresa «impossibile». Ma se Massimo Palanca, indimenticabile beniamino dei tifosi catanzaresi, faceva gol da calcio d’angolo, niente è scontato e tutto possibile.

«All’inizio, ironicamente, pensavo di stare in una forbice tra il 2 e il 22%, oggi credo che il ballottaggio sia a portata di mano», esclama durante un concerto al museo del rock, nel centro storico.
ESPERIMENTO CIVICO Il suo è un esperimento, «non replicabile sul territorio nazionale», precisa. Una sorta di civismo, né di destra né di sinistra, ma che la sinistra l’ha imbarcata nelle liste. Nella sua formazione «CambiaVento» figurano il segretario cittadino di Rifondazione e alcuni esponenti di Sinistra Italiana e anche Mdp-Art.1 ha dato il suo sostegno.

«La nostra è un’operazione politica che parte dal basso per sconfiggere il declino e quella rassegnazione tipica dei meridionali per cui non c’è niente da fare, tanto sono tutti uguali. Ecco, noi ci proponiamo di costruire un qualcosa di innovativo, e propositivo, tra il Pd e i 5 Stelle».

E a chi li accusa di essere dei grillini «più educati e meno cafoni», Fiorita risponde che CambiaVento è un movimento autorganizzato, dal basso, senza padroni, blog e quant’altro. Ha chiesto e ottenuto dai partiti della sinistra un passo indietro ovvero niente liste e simboli, «perché il nostro profilo civico è prevalente sull’identità di sinistra e solo così, forse, riusciremo a schiodarci dal minoritarismo».

Dalla sua, ha il fatto che i 5 Stelle in Calabria sono solitamente inconsistenti. A questa tornata candidano Bianca Laura Granato, insegnante attiva nel movimento contro la Buona scuola. Cinque anni fa i grillini, travolti da faide interne, non si presentarono. Quest’anno è già un successo che ci siano riusciti.