Quando la cortina di fumo mediatica si sarà dissolta, sarà chiaro che gli unici due veri vincitori delle elezioni catalane di oggi sono il movimento di destra dalla faccia pulita, Ciutadans, contrarissimo all’indipendenza, che conferma la sua crescita e le proprie ambizioni anche a livello nazionale: passa da 9 seggi a 25 (dal 7,6% delle ultime elezioni del 2012 al 18%); e il movimento indipendentista di estrema sinistra, la Cup, che passa da 3 a 10 seggi (dal 3.5% all’8.1% dei voti). Tutti gli altri protagonisti in realtà perdono voti.

Il listone favorevole all’indipendenza Junts pel Sí, che arriva comunque primo, con 62 seggi (e quasi il 40% dei voti), non arriva né alla maggioranza assoluta (che sarebbero 65 seggi), e neppure arriva ai valori ottenuti dai due principali partiti che ne formano parte: i centrodestri di Convergència i Unió ottennero 30% dei voti e 50 seggi, e i socialdemocratici di Esquerra Republicana, che ottennero 13,7% e 21 seggi.

All’appello mancano quasi il 4% dei voti e ben 9 seggi. Nonostante questo, e nonostante il fatto che non sia del tutto chiaro che l’attuale presidente Artur Mas riuscirà effettivamente a essere eletto presidente come sperava (la Cup ha già detto che non lo voterà), si sono comunque dichiarati vincitori e tutti i suoi leader hanno dichiarato di sentirsi legittimati per cominciare il cammino verso l’indipendenza.

Il magico numero che tutti gli osservatori aspettavano e che indicherebbe i favorevoli all’indipendenza (la percentuale di voti di Junts pel Sí + i voti della Cup) raggiunge ben il 47,8%: record storico per i sostenitori dell’indipendenza, ma meno della metà degli elettori, che in un vero plebiscito avrebbero legittimato il cammino secessionista.

Nonostante questo, è chiaro che i catalani hanno avallato l’idea che si trattava di elezioni chiave (“plebiscitarie”, secondo i favorevoli all’indipendenza). La partecipazione è stata da record: la più alta di qualsiasi altra elezione catalana dalla democrazia a oggi: più del 77%, 10% più che nel 2012.

Per gli altri partiti, deludentissimo il risultato di Catalanya sí que es pot, la lista unitaria degli storici rossoverdi catalani (ICV), Podemos e Izquierda Unida. Nel parlamento uscente ICV ha 13 seggi e quasi il 10% dei voti.

Oggi ha ottenuto meno del 9% dei voti e meno di 11 seggi. I socialisti limitano le perdite previste: scendono a 16 seggi (ne avevano 20), e passano dal 14,4% al 12,8%, e continuano in discesa. Il Pp crolla dal 13% all’8.5% (da 19 a 11 seggi). La piccola Unió, i democristiani che per la prima volta correvano da soli (senza Convergència di Artur Mas) non riesce neppure a entrare nel parlamento catalano (e ottiene il 2,5% dei voti).

I risultati finali (con il 96% dei voti scrutati alle 23) vedono un Parlament di Barcellona con sei partiti rappresentati: 62 seggi per la coalizione pro indipendentista Junts pel Sí (che al suo interno ha esponenti di due partiti e vari indipendenti); 25 seggi per Ciutadans, la cui leader catalana (unica donna candidata alla presidenza) diventa la capa dell’opposizione; i socialisti catalani (Psc) con 16 seggi; Sí que es pot, la coalizione di partiti di sinistra (unico partito che non si è schierato sull’indipendenza), con 11 seggi; stesso numero di seggi per il Pp; e infine 10 seggi per gli indipendentisti di sinistra della Cup.