Dopo la verità, la seconda vittima immateriale di ogni conflitto è la cultura. Ne abbiamo avuto prova anche ieri: la polizia ha circondato nottetempo un museo a Lleida (una delle province catalane) per sequestrare alcune opere d’arte contese. Secondo i catalani, sono le ultime vittime del famigerato 155.

LA STORIA, EMBLEMATICA, è lunga più di 30 anni. Tra gli anni 80 e gli anni 90, la Generalitat catalana avrebbe acquistato 97 pezzi artistici che provenivano da un monastero di Villanueva de Sijena, un microscopico paese di soli 500 abitanti nel cuore dell’Aragón. Ma un monastero ricchissimo di opere d’arte, perché legato a doppio filo ai regnanti della casa aragonese fin dalla sua fondazione nel secolo XII. Tanto che venne dichiarato monumento nazionale già nel 1923. Peccato che durante la guerra civile negli anni 30 del secolo scorso venne completamente distrutto, non è chiaro se dagli anarchici o dai franchisti. A partire dal 1936, i beni artistici del monastero cominciano a migrare verso la vicina Catalogna, in parte asportati da esperti finanziati dal governo catalano. I primi pezzi vennero restaurati ed esposti nel Mnac (Museo nazionale di arte catalana di Barcellona) già negli anni 40; successivamente vennero asportate ulteriori opere. Che vennero acquistate dalla Generalitat, a partire dagli anni 80, dalle monache che gestivano quel che rimaneva del monastero (che nel frattempo si erano trasferite in Catalogna). Il tutto con il beneplacito ecclesiastico.

 

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Le suore vendettero le opere senza informarne debitamente le autorità aragonesi, che quindi non poterono esercitare il diritto di prelazione. Tutto sarebbe passato sotto silenzio e il resto delle opere sarebbero ancora nel museo di Lleida (a soli 80 km da Sijena) se nel 1995 l’allora sindaco della località non avesse fatto presente che mancavano all’appello le 97 opere. Da allora il governo aragonese le ha reclamate, spiegando che si è trattato di un saccheggio, e la Generalitat si è opposta, argomentando che le ha restaurate e salvate da sicura distruzione. La cosa è finita in tribunale. Dopo alterne vicende, nel 2015 un giudice ha sentenziato che la vendita delle opere era nulla e che dovevano tornare indietro: nel frattempo il governo aragonese ha speso 400mila euro in una struttura per accoglierle. Nel 2016 vennero restituite 51 opere (ne mancano due, “smarrite” dal Mnac). Le 44 requisite ieri manu militari dalla guardia civil erano bloccate a Lleida in attesa di un’ennesima decisione giudiziaria, perché la Generalitat aveva fatto ricorso. Ma con l’applicazione del 155, il ministro della cultura catalano è diventato il ministro della cultura spagnolo che evidentemente ha voluto colpire dove ai catalani fa più male: sui simboli. Il Pp è esperto di questa strategia che non fa altro che dare ali all’indipendentismo. E nascondendosi dietro l’applicazione delle sentenze, ha dato l’ok al trasferimento delle opere su richiesta di un giudice (pur in assenza di sentenza definitiva). La cosa più bizzarra, è che la Generalitat (e cioè il governo Rajoy stesso) ha fatto un ennesimo ricorso contro quest’ultimo atto giudiziario che fissava proprio ieri come data ultima (invocando l’articolo 155), respinto quando ormai i tecnici aragonesi accompagnati dai militari stavano già imballando le opere.

Il direttore del museo con il personale specializzato ha passato la notte nel museo in attesa del convoglio della polizia, che si è presentato alle 4 del mattino con spiegamento di camionette e poliziotti (dei Mossos), che hanno allontanato con la forza la protesta di un gruppo di 500 persone (convocati dai giovani della Cup) contro quello che hanno definito un «furto».

GLI ARAGONESI – governo socialista, come il sindaco di Lleida – hanno celebrato la giornata «storica» pur lamentando la mancanza di un pezzo (ma il museo ne ha consegnato un altro in cambio) e lo stato «molto molto deteriorato» di altre opere d’arte, negando che la Generalitat se ne fosse presa cura adeguatamente. Non è chiaro, almeno secondo la sentenza, se le opere siano state davvero pagate: nel caso così fosse, in teoria, le beneficiarie del pagamento (defunte) dovrebbero restituire circa 2 milioni di euro.