Le elezioni a corto termine sono l’inevitabile epilogo di questa fase dello scontro politico catalano. O quelle che imporrà Il premier Mariano Rajoy una volta il Senato abbia approvato le misure di applicazione dell’articolo 155 che il governo ha preparato (sarebbero il 28 gennaio, fa sapere il sempre solerte leader di Ciudadanos Albert Ribera, «come sanno tutti», ha aggiunto in un’intervista ieri). Oppure quelle che potrebbe convocare entro la fine dell’anno, se volesse, lo stesso presidente catalano Carles Puigdemont, prima di essere esautorato delle sue funzioni. Il problema è come ci si arriverà a queste elezioni.

Sembra scontato ormai che gli indipendentisti vorranno fare il gol della bandiera prima di staccare la spina: la dichiarazione unilaterale di indipendenza (ormai nota con l’amichevole acronimo Dui) su cui finora Puigdemont aveva nicchiato. Le basi saranno comunque entusiaste, anche se nessuno degli obiettivi del Govern si è concretizzato: né l’indipendenza, né l’appoggio internazionale, né il sostegno dei poteri forti dell’economia, né tanto meno alcuna prospettiva che abbia avvicinato effettivamente l’agognato obiettivo della Repubblica catalana. Il problema è che, a margine delle tifoserie da stadio delle due squadre, ogni passo a partire da oggi rischia di finire su una bomba politica, e non è chiaro quante saranno le vittime.

Per ora, quello che si sa è che oggi si costituisce la commissione del Senato che deve analizzare le misure proposte dal governo. Fra i 27 senatori (15 del Pp) che prenderanno parte a questa commissione non ci sarà l’unico senatore del Partito socialista catalano, l’ex presidente della Generalitat José Montilla. Che fa sapere di aver deciso «da tempo» come voterà venerdì, altra data certa, nella seduta plenaria che dovrà finalmente approvare le misure per applicare il 155. Dal suo voto dipende in pratica la sopravvivenza dei socialisti catalani in qualsiasi giunta comunale della regione dove governino con Podemos o alleati, Esquerra republicana o PdCat: tutti hanno minacciato che se il Psc, e cioè lo stesso Montilla, voterà a favore del 155, si chiude qui qualsiasi accordo esistente. Il Psc fa buon viso a cattivo gioco («non c’è nessuno nel Psc che desidera l’applicazione del 155», ha detto il segretario Miquel Iceta), ma le tensioni al suo interno sono elevatissime e in fondo basterebbe il No di Montilla, che avrebbe dalla sua anche le ragioni istituzionali di un ex president, per salvare l’unità sempre più traballante del partito dei socialisti catalani. Gli altri socialisti continuano a difendere le misure del governo, e voteranno con il Pp. A meno che, hanno fatto sapere ieri, Puigdemont convochi le elezioni ma senza aver dichiarato l’indipendenza.

Intanto gli 8 senatori non eletti dai cittadini ma nominati dal Parlament compaiono oggi nella commissione affari istituzionali della camera catalana. Di tutti i 24 senatori catalani, i partiti «costituzionalisti» che voteranno il 155 – Pp, socialisti e Ciudadanos – ne hanno uno ciascuno, tutti e tre nominati dal Parlament.

D’altra parte, Carles Puigdemont sta ancora valutando se presentarsi in Senato per dare spiegazioni prima del voto di venerdì. All’inizio sembrava gli fosse stata offerta un’unica possibilità, prendere o lasciare, di presentarsi giovedì pomeriggio, cosa che però entrerebbe in conflitto con la convocazione della camera catalana: infatti sempre ieri la giunta dei portavoce del Parlament ha chiesto alla presidente di convocare per giovedì e venerdì una sessione parlamentare per analizzare le «proposte» del Parlament e del Govern per rispondere all’applicazione del 155. Naturalmente non si fa menzione di una dichiarazione di indipendenza, ma tutto fa sospettare che – per mantenere in piedi la coreografia tanto amata dagli indipendentisti – si faccia in modo che contemporaneamente al voto del Senato, venerdì il Parlament risponda con il voto di una Dui.

La Cup ha fatto sapere che prepara una settimana di mobilitazioni massicce di «lotta non violenta» e di disobbedienza civile all’«aggressione» del governo di Madrid. Oggi e domani, sciopero anche degli studenti universitari.