Nonostante tutto, circa seicentomila persone (sono dati della Guardia Urbana di Barcellona, di solito affidabili) hanno riempito le vie centrali della capitale catalana per celebrare la festa più sentita, soprattutto dagli indipendentisti. Con la complicità di un’inaspettata tregua metereologica pomeridiana, gli organizzatori dell’ormai tradizionale manifestazione della Diada sono riusciti a salvare la festa. Partecipazione quasi dimezzata rispetto all’anno scorso, e un terzo rispetto a quella dell’anno record, il 2014, poche settimane prima del primo referendum consultivo organizzato dall’allora presidente Artur Mas. Dal 2012, quando la manifestazione è diventata massiccia e rilevante politicamente, è la meno imponente.

La maglietta di prammatica quest’anno era verde acqua, un colore molto meno cangiante di quello degli anni scorsi. Una metafora del clima assai più disilluso del solito. Sopra, la scritta: «Obiettivo indipendenza» per chiarire che chi era in piazza ieri non ha dimenticato la battaglia. Nessun politico stavolta in prima fila, per scelta delle associazioni organizzatrici, stanche della tensione fra i due principali protagonisti, Esquerra republicana, per la prima volta egemone elettoralmente nel campo indipendentista, e il Pdcat, che esprime il presidente della Generalitat, Quim Torra, che si comporta come un placeholder per l’ormai lontano Carles Puigdemont.

Il discorso di Torra della vigilia, come al solito avvolto di frasi retoriche prive di contenuto politico chiaro, sembrava totalmente estraneo alle sempre più probabili elezioni anticipate in Catalogna (che certamente Esquerra chiederà dopo la sentenza contro i prigionieri politici ed ex leader indipendentisti per capitalizzare la propria rendita di posizione). Elezioni che si celebreranno molto a ridosso di quelle spagnole, che, ad ascoltare i battibecchi parlamentari di ieri fra socialisti e Unidas Podemos sembrano ormai ineluttabili (sarebbero il 10 novembre se da qui a 15 giorni la situazione non si sblocca). Ma la coincidenza sarà indiavolata: Esquerra, a fronte di una probabile sentenza eccessivamente dura, non potrà più regalare a Sánchez il proprio voto, e d’altra parte la doppia campagna elettorale li costringerà a indurire le posizioni su tutti i fronti, mentre lo scontro con il Pdcat sarà su chi è più martire (dato che il leader di Esquerra è in carcere e quello del Pdcat in Belgio). Intanto la sinistra indipendentista più vicina alla Cup, partito oggi elettoralmente più debole, ha organizzato contromanifestazioni più rivendicative, arrivando anche a circondare il Parlament catalano. I politici, fra cui la sindaca Colau, hanno partecipato in un atto organizzato da Òmnium cultural «per i diritti la libertà e l’assoluzione» vicino all’Arc de Triomf.

Posta&risposta

La questione catalana sulle pagine del manifesto

Gentile direttrice,
le scrivo in merito agli ultimi articoli che ho potuto leggere sul giornale relativi alle vicende catalane. Dispiace molto che un giornale che fa parte della mia storia politica tratti le vicende catalane con una certa superficialità e a volte con qualche imprecisione e lacuna.

Mi riferisco in particolare ai due articoli di Luca Tancredi Barone «Il senso della Diada» e l’altro sempre sulla manifestazione che «si ammoscia» (questo, ndr).

Il primo contiene alcune imprecisioni storiche, riferendosi a un periodo in cui la Diada sarebbe stata una manifestazione prevalentemente religiosa, mentre è stata sempre una festa civile. La festa inoltre era celebrata (anche con scontri e conflitti) a partire dalla morte di Franco ed è quantomeno curioso che venga attribuito a Maragall il merito di averla resa visibile.

Al di là dei dettagli, e della evidente scarsa empatia del vostro corrispondente con la mobilitazione catalana, (che nonostante si sia ammosciata rimane una delle più importanti mobilitazioni sociali in Europa negli ultimi decenni) sarebbe gradito poter avere un’informazione più articolata sulle vicende in corso.

Nessuna parola, per esempio, sulle ondate repressive che investono il paese. Sono centinaia le persone investigate per violazioni della ben nota Ley Mordaza (che peraltro ha ispirato parte delle norme dei decreti sicurezza bis italiani) o per altre violazioni e quindi per aver esercitato il diritto a protestare o ad esprimere la propria opinione politica.

Un’intervista a Tamara Carrasco, per esempio, giovane donna in attesa di giudizio per aver organizzato un blocco stradale e in origine accusata di «terrorismo»? O al rapper Valtonyc, in esilio in Belgio per i testi offensivi verso il re? Tanto per fare qualche esempio.

Seguo le vicende catalane anche per ragioni di lavoro, poiché mi occupo da anni di processi di criminalizzazione, e mi aspetterei da un giornale di sinistra maggiore attenzione a questi aspetti. Ritengo che l’opzione indipendentista degli attori di queste vicende non possa rappresentare una ragione per negare o ridimensionare l’importanza storica, politica e sociologica di quanto sta succedendo. Leggere articoli che ripetono in modo abbastanza piatto le narrative di (una parte) di En Comù non aiuta a comprendere la complessità della questione catalana. Cordiali saluti

Rossella Selmini

Gentile Professoressa Selmini,
Grazie per l’attenzione che riserva ai nostri articoli. È dal 2012 che raccontiamo quello che succede in Spagna, e in particolare in Catalogna, parlando dello scontro politico in atto, delle enormi mobilitazioni sociali e anche delle contraddizioni che percorrono l’indipendentismo e i nazionalismi che si scontrano.

Il nostro giornale è quello che senza nessun dubbio racconta (orgogliosamente) la Catalogna e la Spagna più di qualsiasi altro quotidiano italiano. Le basterà consultare le emeroteche.

Al di là delle simpatie personali (sue e nostre), è indubbio che in Catalogna sta succedendo qualcosa di molto importante, che un quotidiano di sinistra deve raccontare. Come è indubbio che al di là della Catalogna, le battaglie sociali che si combattono in questo paese sono di centrale importanza per tutta Europa.

È possibile (e umano) che di tanto in tanto possano sfuggire errori ed omissioni involontarie. Di quelle di mia responsabilità, passate e future, mi scuso. Ma è falso sostenere che non abbiamo parlato di repressioni e ondate repressive, e di molte altre cose: alla Diada abbiamo dedicato due controcopertine in 6 anni, alla repressione (e al caso Valtonyc fra gli altri) almeno altre due, oltre a decine e decine di articoli e interviste.

Sono certo che se analizza con attenzione il congiunto degli articoli di questi anni saprà osservare la varietà di aspetti che abbiamo cercato di raccontare. Per quanto mi riguarda, cercherò di raccontarlo sempre meglio.
Saluti cordiali,

Luca Tancredi Barone