In quest’ultima settimana di campagna per le elezioni del parlamento catalano, il nervosismo è alle stelle. Quello che uscirà dalle urne domenica verrà inevitabilmente letto come un referendum su una futura Catalogna indipendente. L’unico partito che ha cercato di smarcarsi dall’asse pro o contro indipendenza è stata la lista unitaria che agglutina Podemos, i rossoverdi di Icv e Izquierda Unida: Catalunya, sí que es pot (Catalogna, sì che si può).

Tutti gli altri partiti, dal listone Junts pel Sí (Assieme per il sì), che unisce destra e sinistra catalana e che propone come presidente l’uscente Artur Mas (anche se, con una formula inedita in Spagna, è guidata da un ex deputato europeo rossoverde, non candidato a presidente), ai nazionalisti movimentisti di sinistra della Cup – entrambi per il Sì – ai popolari, ai socialisti, a Ciutadans fino alla ex costola del partito di Mas, Unió, che corre per la prima volta da sola – tutti schierati sul fronte del No, tutti, ma proprio tutti, più che il risultato del proprio partito aspettano di vedere il magico numero: la somma dei voti di Cup + Junts pel Sí per sapere finalmente quanti sono i catalani disposti a intraprendere l’incerto cammino verso l’indipendenza senza se e senza ma.

Per la verità, qualche “se” e qualche “ma” ci sarebbe: intanto, se otterranno solo una maggioranza di seggi – che tutti sembrano dar per scontata – o anche di voti; se la Cup, che vede come fumo negli occhi che Mas ritorni a essere presidente, sarà disposta a ingoiare il rospo nel caso fosse indispensabile per la formazione del governo, o cercherà un’alternativa; se il Parlament, come promettono gli indipendentisti, dichiarerà unilateralmente l’indipendenza e che conseguenze ci saranno. E infine, ultimo ma non meno importante, che succederà nel frattempo a Madrid, dove gli attori protagonisti verosimilmente dopo il 20 dicembre (data probabile per le elezioni generali) saranno altri, possibilmente meno passivi di Mariano Rajoy.

In tutto questo, il tono di questa campagna è sguaiato. Per la prima volta, l’associazione delle banche catalane si è espressa in termini molto chiari contro l’indipendenza, minacciando di lasciare il paese. Una presa di posizione così esplicita, che colpisce Mas nel suo punto più debole – il suo partito, Convergència, è sempre stato a favore della parte ricca del paese – non c’era mai stata. Il presidente della Banca di Spagna ha minacciato i catalani di un futuro corralito – cioè di blocco dei conti bancari – modello Grecia nel caso di una «improbabile», come dice lui, indipendenza. Nei giorni scorsi si sono susseguite minacce sulle pensioni, che hanno costretto il ministro delle finanze catalano a spiegare che la Spagna non può non rispettarne il pagamento, e che se non lo facesse la futura repubblica catalana le garantirà.

La minaccia più quotata attualmente è quella di perdere «la cittadinanza europea», oltre alla possibilità di uscire dall’euro – cosa che non preoccupa minimanete la Cup, ma che spaventa gli elettori di Mas & compagni. A parte i vaghi avvertimenti, cui è stato dato ampio spazio mediatico, dei vari Cameron, Merkel, e addirittura Obama, su un’uscita di una Catalogna indipendente dalle varie istituzioni europee (benché i trattati non prevedano esplicitamente come funzionerebbe questa espulsione), persino Mariano Rajoy in un’intervista proprio ieri sembra ignorare un piccolo dettaglio fondamentale: la costituzione spagnola prevede che nessuno possa privare uno spagnolo contro la sua volontà della cittadinanza, e pertanto della sua automatica appartenenza all’Unione europea, con o senza Repubblica catalana.

E arriviamo alla minaccia più aneddotica: se la Catalogna diventa uno stato, il mitico Barça rimarrà fuori dalla Liga. Considerando che i rossoblu, assieme agli eterni rivali dell’Espanyol, sono le uniche due squadre catalane nell’equivalente della Serie A spagnola per molti sarebbe terribile. Nonostante questo, l’ex allenatore Pep Guardiola dalla Germania si è esplicitamente espresso a favore dell’indipendenza (e del voto a Junts pel Sí, di cui simbolicamente chiude la lista) assieme a cantanti, scienziati, scrittori e intellettuali vari.

Quello di cui si sente la mancanza, in mezzo alle minacce, è di qualcuno che dia una buona ragione ai catalani per voler rimanere.