Con il film del suo connazionale, Cristi Puiu (Sierranevada) Bacalaureat di Cristian Mungiu, un altro protagonista del cinema rumeno oggi condivide la dimensione familiare che peraltro a festival inoltrato sembra comune a molti film in gara. Lo scontro padre/figlia – come in Toni Erdmann di Maren Ade ma qui lo scontro è molto poco amoroso – diviene il centro a cui si aggregano relazioni specchio dell’intera società. Ma se la regista tedesca si mette accanto ai suoi personaggi (e così anche Puiu), Mungiu fa parte di quei registi che costruiscono il film contro il protagonista. E non perché questi, nel caso un medico molto stimato per la sua onestà, sia peggio di chi lo circonda. La figlia, la moglie, l’amante, il ragazzo della figlia nella sfera personale e i diversi rappresentanti delle istituzioni in quella pubblica — poliziotti, presidi di scuola, procuratori – sono «mostruosi»  fino alla repulsione.
Il «Bacalaureat» del titolo è l’esame di maturità che la figlia del protagonista deve passare per ottenere la borsa di studi in Inghilterra.Tutto è già pianificato, per l’uomo rappresenta il riscatto alla sua vita, lui che con la moglie alla caduta di Ceausecu sono tornati a casa per rimanere intrappolati. La Romania ai suoi occhi è un posto che ai giovani non permette alcun futuro, solo corruzione, burocrazia malata, violenza.

 

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Il giorno dell’esame però inizia male, qualcuno lancia una pietra sulla finestra della casa, e mentre la ragazza va a scuola viene aggredita. Un trauma che diventa anche una sorta di salvezza per lei che invece vuole rimanere lì, alla sua vita di figlia unica capricciosa coi suoi amici e col suo fidanzato parecchio coatto genere sport-moto-dj. Il padre però non può accettarlo e in quella che è ormai un’ossessione avvia una catastrofe tremenda che sfugge al suo controllo.

Potrebbe funzionare anche come metafora per questo film, che peraltro è controllatissimo (ma non è sempre sinonimo di riuscita il controllo) nel quale Mungiu ritorna dopo l’estasi maniaco-settaria di Al di là delle colline, a un movimento narrativo più simile a quello di 4 mesi, tre settimane, 2 giorni, il film che lo ha lanciato. Scrittura millimetrata, nessun vuoto, un crescendo pensato per condannare il protagonista colpevole di essere caduto anche lui nella corruzione. Fa un po’ Movimento5 stelle se guardiamo dal cortile di casa nostra, spostandoci in una prospettiva universale è una variazione compiaciuta sulla necessità del castigo (come in Al di là delle colline). Un totalitarismo moralista che però con la morale non ha nulla a che fare.