Centoventissette licenziamenti annunciati, 52 lavoratori salvati all’ultimo minuto da un accordo firmato dalla Cisl. A guardare i numeri sembrerebbe quasi una buona notizia quel che è successo venerdì alla Castelfrigo, azienda modenese che si occupa di lavorazione carni. Tant’è che la Fai-Cisl che ha firmato l’accordo ha parlato di «svolta positiva».

C’è però poco da festeggiare. La firma della Cisl arriva dopo oltre due mesi di scioperi e manifestazioni di 70 operai che hanno chiesto il rispetto dei contratti e denunciato un sistema di subappalti e false cooperative. In più c’è un particolare non da poco: a fare diventare quello della Castelfrigo un caso nazionale, a costringere la politica alla mobilitazione e a denunciare un sistema di sfruttamento e sistematica violazione delle normative non è stata la Cisl, che ha firmato l’accordo con l’azienda, ma la Cgil. Dopo due mesi di scioperi e presidi 12 giorni fa tre operai e il segretario della Flai-Cgil di Modena avevano anche iniziato un digiuno ad oltranza, nella speranza di costringere la controparte a cedere e a ritirare i licenziamenti. Invece è arrivata la firma della Cisl che ha ratificato la scelta padronale: contratto rinnovato (per sei mesi e con un’agenzia interinale) a chi non ha protestato, e fra di loro ci sono anche persone che in azienda lavorano da 10 anni. Licenziamento per tutti gli altri. Così è andata: tutti coloro che hanno alzato la testa manifestando fin sotto il Parlamento hanno ricevuto una lettera di licenziamento.

Gli altri, coloro che per paura, bisogno o calcolo hanno scelto di continuare a timbrare il cartellino hanno conservato posto e stipendio. Per usare le parole del sindacalista della Fai-Cisl Daniele Donnarumma si tratta di «quelli che hanno creduto sin dall’inizio nel progetto nell’azienda e hanno continuato a lavorare. Chiaramente sono stati premiati e non è una discriminazione». «È stata scritta una brutta pagina della storia sindacale – ha commentato la Cgil – Reagiremo, staremo nel piazzale dell’azienda notte e giorno fino a quando quel genere d’imprese non sarà isolata!». Insomma, il presidio dei 70 lavoratori continuerà finché non si troverà una soluzione per tutti. Qualche speranza c’è, la Regione Emilia-Romagna si è mobilitata e ha promesso supporto, un impegno assieme a Confindustria e Alleanza delle cooperative per la ricollocazione di chi ha perso il posto.

Due mesi di proteste della Cgil hanno svelato quanto c’è di marcio nel settore della lavorazione carne, importantissimo per l’economia modenese. Un settore dove la competizione si fa sulla pelle dei lavoratori, con contratti pirata, paghe irregolari, finte coop che chiudono ogni due o tre anni, committenti che fingono di non sapere cosa sta succedendo sotto al loro naso, o peggio che sono direttamente gli architetti del sistema. Ma c’è di più: la vertenza Castelfrigo ha mostrato anche come l’esternalizzazione del lavoro, gli appalti che ogni pochi anni devono essere rinnovati e le clausole sociali non esigibili siano ormai un mix letale per i diritti di chi lavora. Senza contare il Jobsact che ha cancellato il reato di somministrazione fraudolenta di manodopera e la depenalizzazione della somministrazione fraudolenta di manodopera introdotta dal governo Renzi nel 2016.

Nel caso Castelfrigo la Cgil ha ricostruito un sistema di scatole cinesi per cui le finte coop erano capaci di garantire un costo del lavoro ipercompetitivo all’azienda committente, e nello stesso tempo si indebitavano anno dopo anno non pagando Iva e Irap. In più, per tagliare ancora sui costi, gli straordinari dei soci-lavoratori spesso si trasformavano in rimborsi, evitando così le trattenute fiscale e previdenziale. Il meccanismo ha funzionato a lungo perché le coop dopo pochi anni chiudevano per poi riaprire sotto altro nome. Un gioco che sembrava perfetto e che è stato scoperchiato dagli scioperi di settanta operai che hanno deciso di dire basta. Ora però è arrivata la doccia fredda. «Ma noi non molliamo, resteremo giorno e notte di fronte ai cancelli dell’azienda finché non saremo tutti riassunti – dice Martin Blliku, reduce da 12 giorni di sciopero della fame – I padroni stiano tranquilli: non si libereranno di noi».