«Castel Volturno non può essere ricordata come la città italiana con la più alta concentrazione di immigrati clandestini»: ieri mattina Matteo Salvini era nel centro casertano a proseguire il suo tour elettorale, due giorni in zona cercando di contrapporre le comunità che vivono sul territorio. Nessuno ha chiesto quale sia stato l’impatto che hanno avuto i suoi decreti Sicurezza.

Samuel fa il muratore, la moglie le pulizie, vivono a Castel Volturno con i loro 4 figli: il più grande è alle medie e gioca nel Tam Tam Basket, la più piccola ha 3 anni, sono tutti nati sul litorale domizio. Samuel e la moglie hanno sempre lavorato ma in nero, senza contratto è arrivata la revoca del permesso umanitario, come imposto dal decreto Sicurezza.

Pat è in Italia da 20 anni, è un’attivista del Movimento migranti e rifugiati, vive a Castel Volturno con la figlia di 15 anni e un bambino di 2. Anche lei ha avuto la revoca: la richiesta di rinnovo del permesso è stata depositata prima del decreto Salvini ma la risposta è arrivata dopo così l’ha perso. Fa l’operatrice sociale ma nel periodo in cui ha dovuto presentare la pratica era senza contratto perché non sempre chi lavora ha impieghi continui. Ha fatto ricorso e lo vincerà perché una sentenza ha chiarito che la norma non può essere retroattiva ma l’iter può impiegare anche due anni per giungere a conclusione.

«Tutti i richiedenti asilo nella commissione di Caserta hanno ricevuto un diniego secco perché non c’è più la protezione umanitaria. Anche se erano presenti in Italia da prima e fatto richiesta prima del dl Sicurezza: o la converti in permesso di lavoro o lo perdi. Non conta la storia personale» spiega Mimma D’Amico, attivista dell’Ex Canapificio che gestisce uno Sprar a Caserta ma anche uno sportello legale a Castel Volturno. «Con la cancellazione dell’umanitario – spiega – abbiamo visto le vite delle persone naufragare: in 1.947 perderanno il permesso nella nostra provincia entro dicembre, siamo a 430 revoche già arrivate, e si tratta solo di quelli di cui abbiamo conoscenza. Non torneranno a casa nei paesi di origine ma rimarranno senza diritti, spinti verso il lavoro nero».

Il dl Sicurezza ha anche previsto il ridimensionamento del circuito Sprar con l’idea di svuotarli. «È l’opposto di quanto sarebbe giusto fare – prosegue -. Deve diventare un sistema per tutti, richiedenti asilo, rifugiati, casi speciali, diffuso in tutti i comuni (non su base volontaria come adesso), dovrebbe rientrare nel welfare cittadino per integrare e coinvolgere la comunità nel suo insieme».

Con il dl Sicurezza i richiedenti asilo sono finiti nei Cas. «Noi li abbiamo tenuti, sono 56 ragazzi che hanno fatto ricorso. Nello stesso Sprar ci sono ragazzi rifugiati a cui è possibile pagare la formazione professionale, stage in azienda pagando la borsa lavoro, l’accompagnamento all’affitto di un appartamento. E ci sono i richiedente asilo che possono solo continuare a studiare italiano. Quando usciranno dal sistema non avranno avuto contratti con aziende in modo legale, sarà più facile finire nelle rotonde a vendersi in nero». Poi c’è il comma che impedisce l’iscrizione all’anagrafe: per ottenerla è stato necessario ricorrere ai tribunali «ma intanto chi non l’aveva nel periodo del lockdown non ha avuto accesso ai bonus».