Tre giorni fa, la commissione Affari Esteri del Parlamento europeo ha approvato un rapporto che sollecita l’Unione a rafforzare i legami con Taiwan. E lo ha fatto con il voto favorevole del Movimento 5 Stelle, nonostante la linea non certo ostile alla Cina impressa da Beppe Grillo. il manifesto ha intervistato Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente M5s dell’Europarlamento.

Perché è importante per l’Ue approfondire i legami con Taiwan?
In una regione messa sempre più sotto scacco dalla postura assertiva della Cina, Taiwan rappresenta un modello alternativo a quello di Pechino: condividiamo gli stessi valori liberal-democratici basati sul pluralismo e sul pieno rispetto dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali. Il documento approvato a Bruxelles in Commissione Affari Esteri, con il voto del Movimento 5 Stelle, certifica le nostre crescenti preoccupazioni come Parlamento europeo riguardo le attività cinesi nell’area dell’Indo-Pacifico. Se approvata in Plenaria, questa risoluzione rappresenterà un monito anche alle altre istituzioni europee. Non possiamo tollerare le crescenti violazioni dei diritti umani e non possiamo rimanere silenti di fronte a una politica estera sempre più espansionista e aggressiva tanto nella regione quanto su scala globale. Tollerare doppi standard non farebbe che minare la nostra credibilità.

Perché puntare su un accordo commerciale bilaterale con Taipei mentre quello sugli investimenti con la Cina resta congelato?
Taiwan è un importante partner commerciale per l’Unione. Non dimentichiamo, per esempio, che è leader mondiale nel campo dei semiconduttori, componenti essenziali per le nostre industrie. Il progetto di relazione non chiede esplicitamente un accordo commerciale bilaterale ma bensì una valutazione d’impatto, una consultazione pubblica e uno studio esplorativo su un possibile accordo bilaterale sugli investimenti, non diverso da quello già concluso con Pechino e poi successivamente congelato. Riguardo a quest’ultimo voglio ricordare che la Cina ha imposto delle inaccettabili sanzioni di rappresaglia verso cinque colleghi europarlamentari, l’intera Sottocommissione Diritti Umani del PE, il Comitato Politico e
di Sicurezza del Consiglio UE, nonché verso altri colleghi deputati dei parlamenti nazionali degli Stati membri e gruppi di riflessione. La rimozione totale di queste assurde sanzioni da parte di Pechino è unacondizione imprescindibile e ineludibile per riprendere un dialogo costruttivo.

Come si inserisce questa bozza nel contesto della strategia Ue per l’Indo-Pacifico?
Se l’UE intende rafforzare la propria presenza diplomatica ed economica nella regione indo-pacifica, fondamentale nell’economia globale ma attualmente al centro di una serrata competizione geopolitica tra diversi attori, allora non può esimersi dallo stringere relazioni sempre più strette con quei partner che condividono pienamente i nostri valori e principi, esplorando anche nuovi ambiti e approfondimenti di cooperazione. Oltre che per Taiwan questo vale ovviamente anche per il Giappone, la Corea del Sud, l’India e l’Indonesia.

La Cina ha protestato per il voto della Commissione. Lo stesso ha fatto con la Lituania per il suo
avvicinamento a Taiwan. Come dovrebbe comportarsi l’Ue di fronte alle proteste di Pechino su prese di posizione su temi come questo o come quello di Hong Kong?
Su Hong Kong ricordo che l’Ungheria di Orban ha posto il veto a ben due dichiarazioni dell’Ue sulla difesa della democrazia e di solidarietà verso i manifestanti. La politica estera europea non può essere ostaggio dei veti dei sovranisti, né tantomeno di governi condizionati nelle loro scelte dai massicci investimenti di Pechino. Su questo urge una riforma dei processi decisionali in Europa per pervenire in ogni ambito al voto a maggioranza qualificata, precondizione indispensabile per affermare con voce più autorevole la nostra promozione del rispetto dello Stato di diritto, del multilateralismo e dei diritti umani nel mondo. Se agiamo uniti, il blocco dei nostri 27 Stati membri assurge al ruolo di potenza politica,
economica e diplomatica di primissimo piano. Divisi siamo facilmente vulnerabili e ci condanniamo, nella migliore delle ipotesi, a una sostanziale irrilevanza.

Lei e i suoi colleghi eurodeputati del M5s sembrate avere una linea diversa sulla Cina rispetto al M5s “italiano”. Siete davvero uniti su questo? E nel passaggio da Conte a Draghi le sembra cambiato qualcosa nelle relazioni italiane con la Cina?
Dal governo Conte a quello Draghi non ho notato rilevanti cambiamenti nella politica estera italiana che rimane ancorata ai valori del multilateralismo, dell’europeismo e dell’atlantismo. Non a caso il responsabile della politica estera non è cambiato durante i due governi. Luigi Di Maio sta svolgendo con grande responsabilità il suo incarico, e le sue azioni sono coerenti con la linea del Movimento 5 Stelle, la quale a mio avviso deve sempre avere la forza di applicare lo stesso metro e gli stessi principi con tutti gli interlocutori. Su questo siamo più uniti di quanto talvolta si dica. Per quanto riguarda le relazioni con la Cina, il premier Draghi dovrebbe avere nei prossimi giorni un colloquio telefonico con il presidente Xi Jinping. Evitare che l’Afghanistan diventi nuovamente la centrale internazionale del terrorismo islamico e che si verifichi una nuova catastrofe umanitaria deve essere una priorità. Coinvolgere tutti gli attori regionali e globali in questo processo sarà fondamentale tanto per assicurare stabilità nella regione quanto per cercare di difendere le conquiste nell’ambito dei diritti umani faticosamente ottenute negli ultimi 20
anni dal popolo afghano.