Urne infarcite di incubi. Città storica, isole e terraferma mai così insidiose. Ca’ Farsetti ancora un miraggio, non solo per lo spettro dello scandalo Mose.
Il centrosinistra di Venezia oggi, domenica 15 marzo, decide il candidato sindaco con le primarie. E prima di tutto deve superare l’esame della partecipazione. Il 24 gennaio 2010 votarono in 13 mila (incoronando Giorgio Orsoni, avvocato che ora dovrà difendersi nel processo per i finanziamenti del Consorzio Venezia Nuova alla campagna elettorale del Pd). Già allora avevano «disertato» in 3 mila rispetto a ottobre, quando si sceglieva il segretario nazionale…

Non basta, perché pesa come un macigno il cataclisma che non ha risparmiato nessuno. L’apparato della Quercia svergognato dalla trafila giudiziaria, cominciata con la condanna di Lino Brentan e non ancora smaltita dai bersaniani alla Davide Zoggia. La «base» democratica che è sempre più smarrita nell’epoca di Renzi senza più il conforto di Napolitano. Il «popolo» che fu dell’Ulivo ormai più vicino alla trincea No Grandi Navi che al festival della politica formato lobby, professori e consulenti. Perfino un’istituzione come il Patriarcato sconta il business del ciellino Scola con la Fondazione Marcianum e paga pegno nelle nomine dei cardinali.
Primarie, dunque, in verticale.

Ben diverse dagli affreschi a beneficio della propaganda: sotto traccia si intuisce addirittura il rischio dell’«effetto Emilia» e c’è già chi sussurra con paura che non è così scontato vincere alle Comunali «vere» di maggio.

Primarie, insomma, come ultima spiaggia. Venezia sarebbe sempre il sogno proibito dei «serenissimi», magari aggiornati dal doroteismo sussidiario di Tosi & Ncd. Francesca Zaccariotto sulla carta avrebbe il profilo perfetto…

Oggi dalle 8 alle 20 si capirà meglio lo stato di salute del Pd e del centrosinistra. Saranno 36 i seggi aperti, di cui 15 fra capoluogo e isole. Potranno votare anche i 16enni, insieme agli stranieri non solo dell’Ue purché residenti. Lo spoglio entro mezzanotte sancirà il nome dell’aspirante sindaco.

Se la giocano, in un testa a testa che assomiglia molto al ballottaggio delle Comunali 2005, il senatore Felice Casson e il giornalista Nicola Pellicani. Sulla scheda c’è anche stampato il nome di Jacopo Molina, giovane ultrà renziano della prima ora, mentre Rifondazione e l’area «rossoverde» hanno rinunciato a cimentarsi come nel recente passato.

Il vero braccio di ferro si gioca sull’eccezione di Venezia rispetto alla politica di Roma.

Casson, non solo da ex pm, incarna l’alternativa dissidente; Pellicani è la nuova faccia della «governabilità» di Massimo Cacciari. Da una parte, la promessa di assoluta discontinuità con il «sistema Mose».

Dall’altra, il «laboratorio» del New Deal ben oltre il recinto di partito. Ma Casson è chiamato a scacciare la maledizione di dieci anni fa e Pellicani a dimostrarsi fino in fondo autorevole. E alla luce del verdetto di domenica, le carte si rimescoleranno soprattutto nel decisivo bacino elettorale di Mestre e Marghera.

Dietro le quinte, almeno un paio di rebus. Chi sarà lo sfidante del centrodestra? Forza Italia e Lega inseguono ancora il jolly convincente. E quale sarà la suggestione in grado di far centro? Di certo, non il tram rosso ex Lohr e nemmeno il mega-padiglione formato Expo…

Alla vigilia delle Primarie, le ultime bordate sono senza tanti complimenti. Cacciari rivendica l’eredità di Paolo Costa e perfino di Orsoni, spiegando così la «militanza» al fianco di Pellicani: «Soldi da Roma non ne arriveranno più: dobbiamo incoraggiare i progetti locali e dialogare anche con chi ci è antipatico. Casson rappresenta il nuovo? Rappresenta ciò che dice? Non credo…».

Replica a stretto giro di posta: «Nel centrosinistra ci sono stati assessori che hanno governato bene e altri che hanno amministrato male. Adesso occorre voltare pagina, perché i poteri forti di Venezia devono capire che è il Comune a rappresentare i cittadini e il bene collettivo» scandisce Casson.