Se in Italia la disoccupazione è “solo” al 12 per cento, il merito è tutto della cassa integrazione. Se c’è uno strumento che in Italia funziona e che nel resto d’Europa e del mondo ci hanno invidiato e copiato è proprio la cassa integrazione: quella ordinaria e quella straordinaria. Uno strumento mutualistico – pagato con una piccola aliquota ogni mese da imprese e lavoratori – per affrontare i momenti di crisi e non licenziare.

Ebbene, oggi il governo annuncerà ai sindacati il decreto delega del Jobs act nel quale la cassa integrazione diventerà una sorta di bonus-malus che ne disincentiverà l’uso da parte delle imprese. Se ora il meccanismo prevede un’aliquota fissa e costante, il governo ha deciso di alzarla alle imprese che l’hanno utilizzata nell’anno precedente con l’idea che «più utilizza gli ammortizzatori, più contribuisce».

La logica conseguenza però sarà che le imprese davanti all’alternativa pagare di più la Cig o licenziare, sceglieranno la seconda, sfruttando anche la pochezza degli indennizzi – uno o due mensilità l’anno – da pagare in caso di licenziamento per i neo assunti col contratto a tutele crescenti. Insomma, un vero e proprio boomerang che rischia di azzerare anche il sedicente aumento dei contratti a tempo indeterminato. «È come aumentare il prezzo delle medicine solo ai malati», sintetizza con efficacia il segretario confederale della Uil Guglielmo Loy.

La ratio della nuova normativa, secondo il governo, dovrebbe invece cancellare gli abusi nelle richieste di cig di questi anni. Una posizione che non sta in piedi visto che le richieste devono avere il via libera del ministero del Lavoro stesso che è stato fin troppo largo, specie con la Fiat (ora Fca).

Il decreto invece non conterrà – come il governo aveva fatto trapelare – una forma di reddito di cittadinanza o reddito minimo. Le risorse per coprire il nuovo strumento non ci sono. E così – come al solito – le partite Iva e i tantissimi precari che sono fuori dalla sciarada di nuovi ammortizzatori – Naspi, Asdi e Discoll (fra l’altro tutt’ora bloccati dall’Inps) – continueranno a non avere tutela alcuna.

La vera anomalia del sistema cassa integrazione sta invece nella cassa integrazione in deroga. Lo strumento introdotto – su richiesta dei sindacati – dal governo Berlusconi e da Tremonti all’inizio della crisi, nel 2009, per coprire tutti i settori che non avevano la cassa integrazione, limitata in pratica a quello industriale.

La sua peculiarità sta nel fatto di essere totalmente a carico del bilancio statale, arrivando ad essere costata anche sopra i 3 miliardi nel 2013. Il suo superamento – già previsto dalla riforma Fornero – sarà confermato da inizio a 2017, lo stesso termine fissato per la cancellazione della “mobilità” – l’anticamera del licenziamento – per cui però i sindacati chiederanno una proroga, visto l’uso ancora altissimo, specie al Sud.

Da questo punto di vista la riforma Fornero prevedeva il lancio dei cosiddetti Fondi di solidarietà: in ogni settore ora scoperto dalla cig imprese e sindacati dovevano trovare un accordo su come fissare l’aliquota e come gestire i fondi per allargare in qualche modo a tutti la cassa integrazione. Il sostanziale fallimento dei fondi ha portato il governo a rilanciare – modificandolo – il cosiddetto fondo residuale: la riforma Fornero prevedeva che nel caso non si arrivasse alla creazione del fondo, le imprese dovessero comunque iniziare a pagare un’aliquota fissa dello 0,50 per finanziare un fondo comune.

Il Jobs act renderà più cogente questo fondo che diventerà il Fis – Fondo di integrazione salariale. Un fondo che dovrebbe essere allargato anche alle imprese con meno di 15 dipendenti – ora anch’esse escluse dalla Cig – con una soglia possibile di 5 dipendenti che dovranno pagare però un’aliquota più alta. Ai sindacati questa soluzione – da loro caldeggiata – non dispiacerebbe: si tratterebbe della cosiddetta seconda gamba degli ammortizzatori sociali. Da definire però chi e come gestirà il fondo: l’attuale fondo residuale è bloccato per la mancata nomina del consiglio di amministrazione.

La norma sarà illustrata oggi alle 16 dal ministro Giuliano Poletti nella sede di via Giulia ad una ventina di sigle visto che il governo punta a ridurre ad un solo incontro la spiegazione di tutti e quattro i decreti mancanti alla delega del Jobs act: oltre agli ammortizzatori sociali, agenzia unica del lavoro, politiche attive e semplificazioni normative (il famoso “codice del lavoro” tanto caro al professor Pietro Ichino).

La solita riunione monstre in cui il governo rimane sul vago e ascolta senza rispondere agli interventi delle parti sociali senza consegnare nessun testo che anticipi il contenuto (come accaduto per il decreto sulla riduzione delle 46 tipologie contrattuali rimaste praticamente tali). Con la postilla che tutto quanto discusso potrà poi essere completamente stravolto dall’intervento di Matteo Renzi e dei consulenti di palazzo Chigi.