«La Convenzione sullo statuto legale del Caspio firmata domenica 12 agosto nel porto di Aktau, in Kazakistan, non è granché soddisfacente per le autorità di Teheran: non sono riuscite a imporre la propria proposta di suddividere il Caspio in cinque parti uguali e dovranno accontentarsi di sfruttare gli idrocarburi nella zona di confine con l’Azerbaigian, anche se al momento nessuna compagnia petrolifera è disposta a investire a causa delle sanzioni statunitensi».

Così commenta l’accordo siglato domenica Mohammad Reza Djalili, professore emerito del Graduate Institute di Ginevra dove insegnava corsi sul Medio Oriente, il Caucaso e l’Asia Centrale. Per quanto riguarda la Turchia, continua Djalili, «pur non affacciandosi sul Caspio, le sue relazioni con l’Azerbaigian e gli oleodotti che collegano i due paesi permetteranno ad Ankara di approfittare dei vantaggi economici che trarrà Baku».

Per l’Azerbaigian, aggiunge Thierry Kellner dell’Università Libera di Bruxelles, «la questione importante è la suddivisione dei numerosi giacimenti di petrolio e di gas tra i suoi vicini, l’Iran e il Turkmenistan. Di particolare rilevanza è il giacimento di Kapaz/Serdar, che richiederà accordi supplementari rispetto a quelli del 12 agosto.

Da parte dell’Azerbaigian, l’accordo è percepito in maniera positiva anche se le acque in superficie restano una zona comune, mentre i fondali e le risorse sottomarine vengono divise tra i cinque paesi che vi si affacciano. Inoltre, Baku potrà trarre vantaggio dall’interesse del Turkmenistan di esportare il gas verso l’Europa attraverso il gasdotto transcaspico».

Anche in questo caso, bisognerà dare avvio ai lavori e non è detto che il gas turkmeno sia, alla fine, più competitivo di quello russo.

La convenzione firmata domenica ha una sua rilevanza soprattutto per i rapporti tra i molteplici paesi coinvolti: «Offre a Baku e a Teheran l’opportunità di approfondire le relazioni bilaterali e sviluppare progetti comuni in materia di idrocarburi.

Detto questo, l’incertezza creata dall’amministrazione Trump rischia di rallentare, se non addirittura di impedire la costruzione di nuove infrastrutture per il trasporto degli idrocarburi dall’Asia Centrale verso l’Europa passando dall’Iran perché questi investimenti e i successivi profitti rafforzerebbe la Repubblica islamica».

Dopo venticinque anni di tensioni e negoziati, viene spontaneo pensare che l’accordo sullo statuto del Caspio possa essere la risposta di Russia e Iran alle continue pressioni degli Stati uniti, che fanno delle sanzioni contro Mosca e Teheran il pilastro della loro politica estera.

In effetti, Mosca e Teheran hanno inserito nell’accordo un punto per loro fondamentale, ovvero il divieto di basi e mezzi militari di paesi terzi che non si affacciano sul Caspio. Il presidente iraniano Rohani ha ribadito che «il Mar Caspio appartiene soltanto ai paesi che vi si affacciano» e il presidente russo Putin ha invocato «una maggiore cooperazione militare tra i paesi che si affacciano sul Caspio per assicurare la pace nella regione».

Questo, precisa Kellner, «non impedirà però ai turchi di mantenere e sviluppare le relazioni con i loro partner nella regione, anche dal punto di vista militare fornendo ulteriore equipaggiamento».

Dopo il crollo dell’Unione sovietica, non era chiaro quale status giuridico avesse il Caspio, se quello di un mare oppure di un lago, il più ampio al mondo nonché habitat naturale degli storioni da cui si trae il beluga, il migliore caviale al mondo. Ora, avrà uno statuto speciale volto a ridurre i conflitti: si lasciano in essere i rapporti bilaterali e quindi i progetti in essere tra la Russia e il Kazakistan, mentre per collocare nuovi oleodotti offshore non sarà più necessario il consenso di tutti e cinque i paesi, ma solo di quelli da cui transiteranno le pipeline.

Sarà quindi più facile sfruttare le riserve di idrocarburi, stimate in 50 miliardi di barili di greggio e 300mila miliardi di metri cubi di gas naturale. In questo epilogo, conclude Kellner, «il Caspio avrà uno statuto speciale e all’Iran andrà la fetta più piccola della torta, grossomodo equivalente a quella che le spettava al tempo all’Unione Sovietica».