Di una scossa di terremoto di magnitudo 2.6 in piena notte puoi anche non accorgerti. Più difficile è farlo se hai passato un mese a dormire fuori casa – e a Casola in Lunigiana sono stati in molti – ed hai avvertito decine di scosse sotto i tuoi piedi e sulla tua testa tra le oltre 2000 dello sciame sismico registrate in zona dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). In questo comune della provincia di Massa-Carrara il terremoto di magnitudo 5.2 del 21 giugno scorso ha fatto forse i danni più gravi. E così una scossa seppure lieve come quella rilevata alle 3.45 del 30 luglio dall’Ingv, ha trovato alcuni abitanti – quelli più turbati – ancora all’erta e sensibili ai movimenti del terreno come un sismografo di precisione. E ogni vibrazione può allontanare «il ritorno» alla normalità, non solo negli edifici ma nella testa della gente. Eppure bisogna andare avanti.

Ed è proprio ora che finisce la fase dell’emergenza, almeno secondo i protocolli della Protezione Civile, che gli abitanti di Casola e degli altri comuni della Lunigiana e della Garfagnana colpiti dal sisma devono trovare in sé stessi e nella loro comunità la voglia di reagire per tornare alla normalità. Loro ci provano. «L’aiuto promesso ed in parte già stanziato arriverà – ci dice il sindaco Riccardo Ballerini – ma in questa fase la mia gente sa benissimo che siamo noi a doverci rimboccare le maniche». Il campo nazionale della protezione civile attivato subito dopo il 21 giugno e gestito dalla regione Marche se n’è andato una decina di giorni fa. Tra lunedì e martedì, invece, hanno lasciato Casola le ultime tende della protezione civile locale e la cucina da campo della Croce Rossa Italiana.

Un paio di giorni fa, quando sono «salito» da Carrara per raccogliere qualche testimonianza le strutture erano ancora lì, anche se ormai erano pochissimi coloro che ne usufruivano.
In quella giornata erano ancora operative anche la cucina della frazione di Regnano, e qui ho incontrato ancora 5 persone che dormivano e mangiavano lì visto che le loro case sono state dichiarate inagibili. Anche per loro l’emergenza, però, doveva finire con la fine del mese, secondo i protocolli burocratici. Hanno lasciato la sede della Croce Bianca, dove nei giorni successivi al terremoto mangiavano e dormivano fino a 70 persone ed hanno trovato casa in affitto nelle vicinanze. Eppure bisogna andare avanti, anche se i soldi per gli affitti arriveranno dopo, anche se non si è ancora superata del tutto la paura. Solo chi conosce questi territori, però, sa che i problemi relativi alla gestione post-terremoto in Lunigiana non sono tema da confinare al sostegno psicologico – che pure c’è stato dopo il 21 giugno – o sintomo del vittimismo di una popolazione locale che si sente spesso lontano da tutto. Sarebbe facile ridurre tutto in questo modo, visto che non ci sono stati né morti né danni alle persone e che tutti hanno trovato una sistemazione alternativa alle proprie case, ad un mese dal terremoto.

E la vita di questi abitati vuol dire la vita di quelle piccole economie fatte di posti letto e prodotti tipici che hanno fatto sopravvivere alcune parti della Lunigiana allo spopolamento progressivo, in alcuni casi, ed in altri hanno addirittura invertito una tendenza in atto da decenni.[do action=”citazione”]Per capire cosa ci sia in ballo qui, si deve raggiungere la «zona rossa» nel borgo di quella che chiamano Casola capoluogo, dove per il pericolo di crolli non si può neppure transitare in alcune strade. Che poi è simile alle «zone rosse» di Codiponte o Regnano. Vedere con i propri occhi interdette quelle vie e quelle case ti fa capire che «ferito» in quel modo il paese rischia di andare incontro al declino.[/do]
Che ci sia questo rischio di declino mi appare ancor più chiaro quando Pina, che ci attende nel borgo in cui ha comprato casa molti anni fa, mi accompagna a vedere la casetta di fronte alla sua abitazione principale. Il rumore del pavimento sotto il primo piede che poso all’interno di quella casa che a volte mi ha ospitato ed adesso è dichiarata inagibile mi induce ad uscire senza azzardare oltre e mi fa realizzare nitidamente che il ritorno alla normalità non sarà facile.

Mi fa capire che senza la rimozione delle zone rosse e senza una corretta messa in sicurezza sarà difficile ripartire per Casola in Lunigiana. E che saranno fondamentali le risorse che arriveranno dal governo ed il modo in cui verranno gestite per il futuro delle 12 frazioni sparse su 43 chilometri quadrati di questo comune Lunigianese. I 2,8 milioni di euro stanziati servono per far fronte alle prime spese dell’emergenza ma quante ne arriveranno per rimettere mano al patrimonio architettonico civile e religioso?

Ci sarà la consapevolezza che questo soldi sono necessari e sono anche utili, visto che, come sottolineò a caldo il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli, qui i danni sono stati limitati perché nella prevenzione qui si è investito con interventi finanziati dalla Regione dopo il terremoto dell’ottobre 1995 ? Rimuovere le zone rosse e «rendere percorribili i borghi è adesso la priorità» sottolinea il sindaco Ballerini che confida nella «grandissima voglia di tornare alla normalità» dei suoi concittadini. Un normalità da riscoprire fin dalla festa del patrono, San Pellegrino, che cade nella giornata odierna primo agosto e che sarà celebrata con musica e balli nella stessa piazza in cui fino a pochi giorni fa c’erano le tende della protezione civile. «Vieni a Casola che qui si balla», recitava con una certa dose di autoironia il volantino promozionale della Pro loco di qualche giorno fa. Casola e la lunigiana, però, non devono e non possono proprio ballare da soli.