Una settimana per fare le valigie. Foglio di via per ventitré diplomatici russi – si legga spie, mai così tante dagli anni Settanta – e nessun reale o dignitario ai mondiali di Mosca della prossima estate. Non la nazionale inglese però, almeno non ancora.

THERESA MAY ha anche assicurato un rafforzamento delle difese d’intelligence, e il congelamento di capitali russi che allegramente scorrono nelle banche e nei fondi d’investimento nazionali. Le frontiere saranno controllate più strettamente onde evitare gli ingressi di spie/sicari russi o sospetti tali.

Saltano tutti i bilaterali fra i due Paesi. Ritirato l’invito alla visita ufficiale del ministro degli esteri Lavrov a Londra, senonché lo stesso Lavrov si premura di dichiarare di non averlo mai accettato.
Com’era lecito aspettarsi, la scadenza dell’ultimatum che la Gran Bretagna aveva lanciato alla Russia di Vladimir Putin, fissata per la mezzanotte di martedì, è trascorsa beatamente senza che il Cremlino ottemperasse alle richieste della premier. Entro quell’ora Downing Street si aspettava delle spiegazioni sul tentato avvelenamento dell’ex-spia russa esule in Gran Bretagna Sergej Skripal, 66 anni, e di sua figlia Julia, 33, nella ridente Salisbury. Le ricerche e le indagini britanniche avrebbero concluso che si è trattato o di un’azione diretta dello stato russo contro la Gran Bretagna, oppure che la sostanza usata, il famigerato agente nervino Novichok, di fabbricazione sovietica, sia caduta nelle mani sbagliate per – sospetta – negligenza.

LA RISPOSTA DI MOSCA alle accuse britanniche è quanto di più vicino a una pernacchia sub specie diplomatica. La portavoce del ministero degli esteri russo ha parlato di «circo» a proposito delle accuse ricevute e i media russi hanno riportato l’accaduto in toni tra il serio e il faceto. «La loro risposta ha dimostrato un totale disprezzo per la gravità di questi eventi» ha detto May a Westminster, definendo le reazioni russe come improntate a «sarcasmo, disprezzo e senso di sfida». Effettivamente la reazione di Putin, che ha detto sogghignando che «non si minaccia una potenza nucleare», non tradisce esattamente panico. Sarà che la sua rielezione plebiscitaria alle imminenti elezioni presidenziali, domenica prossima, appare scontata.

A DIECI GIORNI DAL RICOVERO in ospedale, dove tuttora si trovano in condizioni critiche, di due cittadini russi avvelenati con una sostanza bandita dalle convenzioni sulla guerra chimica, l’affaire Skripal è ormai un cuneo nel cuore delle relazioni diplomatiche anglorusse. Ma lo sdegno per la lesa sovranità di Westminster, che ha visto mettere a repentaglio la vita di connazionali nel tentato, duplice omicidio di stranieri sul proprio suolo, trova scarsa eco pratica in queste misure, per quanto sostenute enfaticamente dalla premier.

Lei stessa era ministro dell’interno quando, dopo Alexander Litvinenko, gli esuli russi nel paese cominciarono a cadere come foglie secche: eppure ha aspettato fino al 2014 prima di indire una commissione d’inchiesta nell’omicidio della ex-spia, avvenuto nel 2006. Tanta circospezione è dovuta al fatto che Londra è una colossale lavanderia del denaro sporco (anche) degli oligarchi russi, una specie che con la benedizione e il generoso contributo dell’occidente liberale, sollevato per l’implosione dell’«impero del male» sovietico, ha cominciato a proliferare in modo incontrollato.

I VOLTI PRESENTABILI sono quelli degli Abramovich, proprietario della squadra di calcio del Chelsea, o dei Lebedev, proprietario del quotidiano Independent. Ma ce ne sono molti altri che parcheggiano e/o investono il proprio maltolto nella City dando lavoro a una congerie di banche d’affari e operatori finanziari in cambio di favori politici.
Lo ha ricordato martedì sera a Westminster Jeremy Corbyn in mezzo alle continue interruzioni dei deputati conservatori, che ovviamente lo tacciano di scarso patriottismo nella migliore delle accuse, di essere una malevola quinta colonna nella peggiore.