«I panni sporchi si lavano in famiglia…». È una delle frasi intercettate dalle quali, secondo l’accusa, si evince che il giudice di pace Stefania Lavore era consapevole del fatto che la convalida del trattenimento nel Cie di Ponte Galeria di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov espulsa illegalmente dall’Italia nel maggio del 2013, fosse un «passaggio essenziale» per il trasferimento «forzato» della donna in Kazakistan.

Lavore è infatti indagata anche per falso ideologico proprio in relazione al contenuto del verbale dell’udienza di convalida tenutasi la mattina del 31 maggio. In particolare, nel verbale non si da conto che i difensori della donna avevano evidenziato come quello di Alma Ayan fosse solo un nominativo di copertura, per ragioni di sicurezza, di Alma Shalabayeva.

E neppure viene menzionato che godeva dello status di rifugiato politico concesso dalla Gran Bretagna nel 2011.