Cosa si sono detti la settimana scorsa il premier italiano e il generale golpista egiziano Al Sisi durante il colloquio telefonico riferito da Palazzo Chigi, in seguito al quale il giorno dopo, durante un consiglio dei ministri, Conte ha dato il via libera “politico” alla vendita delle due fregate italiane Fremm al Cairo? Sarà una delle ’circostanze’ di cui oggi Conte dovrà riferire alla commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.

Il presidente Erasmo Palazzotto (Leu) lo ha invitato negli scorsi giorni. Il premier, con tempestività apprezzabile, ha offerto la disponibilità per stasera alle 22. Praticamente una seduta notturna, «con il favore delle tenebre», ironizza la Lega. Ma Palazzotto spiega di aver colto con favore «la disponibilità di Conte, anche in una settimana fitta di impegni, fra gli Stati generali e il Consiglio europeo». Ieri, a margine degli Stati generali dell’economia, il premier ha spiegato che anche lui sente l’urgenza di incontrare la commissione: «Per far prima sono stato costretto a ricavare questo orario, ma è giusto che le istituzioni lavorino a qualsiasi ora, del giorno e permettetemi di dire anche della notte, non dobbiamo mica fare una conferenza stampa». Anche perché l’incontro sarà trasmesso in diretta streaming. Il premier dovrà spiegare cosa sta facendo il governo per portare a casa la verità sulla morte del ricercatore italiano Giulio Regeni, avvenuta quattro anni fa al Cairo. «Sarà un’audizione libera, i commissari potranno fare tutte le domande che ritengono», assicura Palazzotto.

Sabato scorso, dopo l’amarezza della famiglia del ricercatore e la prima ondata di proteste per la vendita delle due fregate all’Egitto, il premier aveva pronunciato una frase sibillina: «Ogni opinione della famiglia Regeni merita rispetto. Meritano rispetto anche gli sforzi del governo italiano per l’accertamento della verità». Oggi dovrà ’svelare’ la concretezza di questi sforzi. D’altra parte la vendita delle navi non sarebbe neanche ancora conclusa: il dossier ora è all’Uama – l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento – e secondo Palazzotto ci sarebbe qualche margine perché l’affare non vada in porto.

Potrebbe dipendere – al momento è una speranza più che un’ipotesi concreta – anche dal vertice in videoconferenza fra le procure di Roma e del Cairo fissato per il primo luglio, un appuntamento che secondo fonti della Farnesina sarebbe stato organizzato da tempo. È nella promessa ma mai realizzata collaborazione fra le due procure il principale motivo di stallo dell’inchiesta. Dal Cairo non è mai stata presa in considerazione l’ultima rogatoria dei pm italiani, datata 29 aprile 2019, con la comunicazione dell’iscrizione nel registro degli indagati di cinque ufficiali dei servizi egiziani accusati di concorso in sequestro di persona (il generale Sabir Tareq, il maggiore Magdi Abdlaal Sharif, il capitano Osan Helmy , il suo collaboratore Mhamoud Najem e il colonnello Ather Kamal).

Stanotte insomma sarà l’ora della verità, almeno sulle mosse del governo italiano. La maggioranza è divisa, ma le pressioni crescono. Ieri il segretario Pd Zingaretti, dalle colonne di Repubblica, ha sollecitato il governo a compiere «tutti i passi dovuti per ottenere dall’Egitto le condizioni elementari per avviare il processo e la possibilità di fare ulteriori passi in avanti nei rapporti bilaterali». Con una sottolineatura: «Noi non abbiamo mai legato la vicenda delle fregate italiane alla Marina egiziana all’idea di un possibile osceno scambio tra vendita di armi e diritti umani». Per iniziativa del deputato dem Orfini il 25 giugno la direzione Pd discuterà una mozione che chiede lo stop all’affare in assenza di passi concreti verso la verità. Stessa posizione quella di Leu, espressa ieri in aula dal capogruppo alla Camera Fornaro: «Per noi la verità sulla sua morte viene prima di ogni cosa, e prima degli accordi commerciali e della geopolitica». Il collega Fratoianni ha chiesto che anche Speranza, il ministro di Leu, faccia sentire la sua voce. E dopo un’interrogazione proprio di Leu, il ministro degli esteri Di Maio dovrà rispondere a una seconda, stavolta dei 5s, prima firma Paolo Lattanzio. Il sottosegretario alla difesa Tofalo (anche lui 5s) chiede la convocazione in commissione anche dell’ex ministro Minniti, al Viminale ai tempi della morte di Regeni.