Era atteso per oggi, a Roma, ma l’importante incontro tra gli inquirenti egiziani e italiani per fare il punto investigativo sull’omicidio di Giulio Regeni è slittato a giovedì 7 e venerdì 8 aprile (appuntamento confermato, al momento, malgrado ieri sera l’agenzia internazionale Reuters lo dava per «rinviato a tempo indeterminato» citando «fonti giudiziarie e delle sicurezza» egiziane). L’Italia invece procederà ugualmente, oggi stesso, a fare il punto politico del caso, con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che riferirà prima al Senato, alle 12, e poi alla Camera, alle 16.

Gli egiziani lo sanno, ormai: l’incontro al vertice tra procure è considerata la prova del nove per «verificare lo stato della collaborazione» tra i due Paesi al fine anche di mettere in campo eventuali «nuove iniziative diplomatiche», come avvertì qualche giorno fa la ministra Boschi, rispondendo alla Camera ad un’interpellanza di Si. Una presa di posizione che il governo Renzi avrebbe voluto evitare ma in qualche modo imposta dall’”ultimatum” lanciato dalla famiglia Regeni in conferenza stampa al Senato insieme al presidente della commissione Diritti umani, Luigi Manconi.

E così, al Cairo, i preparativi si sono fatti seri, hanno preso più tempo del previsto: difficile assemblare il «dossier di due mila pagine», annunciato attraverso il sito egiziano Al-Shourouk, che dovrebbe contenere tutti i documenti investigativi richiesti da settimane dalla procura di Roma. E difficile perfino scegliere chi farà parte della delegazione, anche per via degli “attriti” tra la procura di Giza, titolare delle indagini sul campo, e i funzionari del ministero degli Interni egiziano che pochi giorni fa aveva annunciato la risoluzione del caso servendo su un piatto d’argento la falsa pista della banda di rapinatori, salvo poi rinnegarla.

Ma alla fine l’elenco dei nomi è arrivato: a incontrare il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone (che smentisce di aver posto richieste specifiche per la delegazione, e in particolare la presenza del consigliere di Al Sisi per la sicurezza Fayza Naga, come riportato dal sito egiziano Horria post.net), il pm Sergio Colaiocco, titolare delle indagini italiane, e i funzionari del Ros e dello Sco rientrati dal Cairo, saranno due magistrati e tre alti funzionari di polizia egiziani, che ripartiranno da Roma il 9 aprile. Si tratta del procuratore generale aggiunto Mostafa Soliman, del procuratore dell’Ufficio di Cooperazione Internazionale della procura generale, Mohamed Hamdy El Sayed, del generale Adel Gaffar della National Security, del brigadiere generale Alal Abdel Megid dei servizi centrali della polizia egiziana e di Mostafa Meabed, vicedirettore della polizia criminale del Governatorato di Giza. Cosa esattamente conterrà il dossier è tutto da scoprire: inutile riportare le “anticipazioni” fatte trapelare sui media egiziani che parlano di oltre 200 testimonianze di persone «in relazione con la vittima» (Al Shourouk).

Più importante invece appuntare la «solidarietà alla famiglia» Regeni espressa da Claudio Descalzi, ad dell’Eni, che un paio di settimane fa «ha eseguito con successo la prima prova di produzione sul pozzo Zohr», il più grande serbatoio di gas dell’Egitto e del Mediterraneo. «Sono cose che ci inorridiscono – ha affermato ieri Descalzi – noi siamo per i diritti umani e per fare chiarezza. L’Egitto è un Paese amico, a cui conviene per primo fare chiarezza. Non siamo contenti per ciò che è successo. Siamo inorriditi, e non perché sia coinvolto un cittadino italiano, ma perché questo non succeda più a nessuno».