Il silenzio italiano, e soprattutto europeo, sta diventando pesante. E non proprio perché da tanta quiete si debba presagire l’arrivo di una tempesta. Non una parola è stata pronunciata dal governo Renzi per rispondere alla provocazione suprema del generale Al Sisi, che – forte della nascente «partnership strategica» da sugellare nel fine settimana con l’alleato francese, e incassato il “piano Marshall” di Re Salman – ha tentato di mettere una pietra tombale sulla possibilità di ottenere la verità riguardo l’omicidio di Giulio Regeni.

L’Italia è in attesa, prima di prendere quelle «misure proporzionate e adeguate» promesse dal ministro Gentiloni all’indomani del richiamo per consultazioni dell’ambasciatore Massari, che i canali diplomatici e politici rimessi in moto – questa volta soprattutto a Strasburgo – producano qualche effetto. Gli unici passi possibili, nel frattempo, sono quelli mossi dalla procura di Roma che ieri ha inviato una nuova rogatoria internazionale per richiedere una volta ancora alle autorità egiziane quei documenti investigativi che ormai sembrano sepolti sotto le parole del presidente golpista.

L’8 febbraio scorso partì da Piazzale Clodio la prima rogatoria, che venne poi rinnovata quando il fascicolo consegnato agli inquirenti italiani il 14 marzo al Cairo si mostrò poco più di niente. La rogatoria inviata ieri è stata suddivisa in tre parti dal pm Colaiocco che l’ha stilata. Tre distinte richieste riguardanti testimonianze, tabulati telefonici e dati di celle telefoniche. Gli inquirenti italiani vogliono acquisire almeno i verbali delle testimonianze di tutte le persone sentite in merito alla scomparsa di Regeni, il 25 gennaio, e al ritrovamento del suo cadavere, il 3 febbraio. E ottenere le dichiarazioni (anche in audio) raccolte durante le indagini sulla presunta banda di cinque criminali, additati dal ministro degli Interni Ghaffar come responsabili dell’omicidio del ricercatore (pista riproposta di fatto da Al Sisi), ma uccisi dalla polizia egiziana. In circostanze tutte da chiarire, come chiedono i parenti. E proprio di questi cinque «criminali» la procura di Roma vuole acquisire – è la seconda parte della rogatoria – i tabulati telefonici, insieme a quelli di altre otto persone. Infine, l’ultima richiesta riguarda i dati raccolti dalle celle telefoniche nella zona in cui Giulio presumibilmente è stato rapito e in quella dove è stato ritrovato senza vita, sulla strada che collega Il Cairo ad Alessandria.

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Intanto a Strasburgo gli europarlamentari italiani stanno lavorando all’interno dei propri gruppi per costruire iniziative politiche assieme ai loro omologhi di diverse nazionalità. «Stiamo cercando di coinvolgere anche gli altri europarlamentari, all’interno della nostra “famiglia” socialista e nella Gue, la sinistra, a cominciare dai francesi – racconta Sergio Cofferati, S&D – al fine di sollecitare Mogherini a compiere passi formali. Dopo la risoluzione sul caso Regeni votata un mese fa dal Parlamento europeo, ora l’obiettivo è far dichiarare all’Europa l’Egitto paese non sicuro».

Ma la strada è lunga. Per intanto bisognerà aspettare di sapere se Hollande nella sua missione di affari al Cairo avrà tenuto conto delle «sollecitazioni» italiane e delle ong francesi. Al suo rientro, sostengono alcune voci, dovrebbe riferire a Matteo Renzi.