Dopo l’incontro di lunedì scorso tra la Procura italiana e quella egiziana sul caso di Giulio Regeni, seguito da una dichiarazione congiunta in cui emergeva la più totale discordanza sulle indagini, i giudici romani sono pronti a chiudere portando a giudizio cinque o più agenti dell’intelligence egiziana, presumibilmente in contumacia e «senza alcuna implicazione processuale per gli enti e le istituzioni statali egiziane», mentre quelli del Cairo sostengono che i colpevoli della morte del ricercatore sono da ricercare nella presunta «banda criminale» sterminata dalla polizia egiziana nel marzo 2016. Quindi dopo quattro anni «cala il sipario» su un omicidio «senza carnefici», come scriveva ieri il quotidiano egiziano El Masry el Youm.

I genitori di Regeni chiedono al governo italiano di «prendere atto di questo oltraggio» richiamando l’ambasciatore. Va oltre Erasmo Palazzotto (Leu), presidente della commissione d’inchiesta sul caso Regeni e deputato di Leu, che parla di «ennesimo tentativo di depistaggio» e chiede «una assunzione di reponsabilità dell’Europa e la possibilità per l’Italia di ricorrere alle corti internazionali per la violazione alla convenzione contro la tortura».