In Argentina, il cadavere del procuratore generale Alberto Nisman continua ad essere utilizzato come un’arma politica. Da quando, domenica 18 gennaio, è stato ritrovato nella sua abitazione con un colpo alla tempia, l’opposizione e i suoi potenti mezzi d’informazione hanno seminato ombra su ombra per screditare la presidente Cristina Kirchner. Il procuratore, che accusava la presidente di voler insabbiare il processo per la bomba alla mutua israelitica Amia, avvenuto a Buenos Aires nel lontano 1994, morì un giorno prima della presentazione della denuncia. La discussione sui fatti, cioè sulle accuse e le prove del procuratore, sono passate in secondo piano, anzi non se ne parla proprio, anche perché si sono dimostrate confuse e prive di fondamenti. La destra argentina è molto nervosa perché ad ottobre ci saranno nuove elezioni nazionali e tutte le previsioni indicano che a vincere sarà il candidato del partito al governo. Kirchner sarebbe stata riconfermata, ma dopo due mandati non si può ripresentare.

L’odio verso di lei è simile a quello che l’oligarchia nutriva per Evita. La parola d’ordine è destabilizzare, seminare il caos per evitare l’inevitabile. Ora un gruppo di procuratori ha indetto una manifestazione per il 18 febbraio per ricordare Nisman. Anche se tutte le prove continuano a confermare che si sarebbe trattato di un suicidio, i procuratori manifestano contro l’uccisione di un loro collega. In ogni modo e al di là dell’accavallarsi delle versioni, risulta chiara l’ingerenza di un intreccio tra servizi segreti argentini, israeliani e nordamericani. Da dietro le quinte, l’intelligence ha manovrato alcuni soggetti, forse anche lo stesso procuratore Nisman, usandoli come pedine della geopolitica globale. La magistratura argentina è tradizionalmente molto legata ai servizi segreti locali.

Su questo legame si cerca di fare luce in questi giorni. Il conflitto sociale non era arrivato mai in questi ultimi anni a disaggregare così tanto la società. È vero che il governo Kirchner è stato colpito da questa vicenda, ma superato il primo impatto la risposta è stata decisa: il giorno dopo la morte ha reso pubblica la denuncia, poi ha sciolto i servizi di sicurezza e proposto una loro radicale riforma, che è già in discussione in parlamento. Un duro golpe economico era stato inflitto all’Argentina quando una sentenza della magistratura degli Stati uniti aveva deciso che la rinegoziazione del debito, dopo il default del 2001, non era valida. Anche se il paese aveva raggiunto un accordo con il 93% dei creditori, questo accordo sovrano non aveva alcun valore.

È curioso, ma il parere del giudice Thomas Griesa, secondo le norme finanziarie che guidano la globalizzazione, è più legittimo che la volontà di una nazione. Il 7% di persone in possesso di titoli del debito estero argentino che avevano rifiutato nel 2005 e poi nel 2010 di rinegoziare i buoni del tesoro sono rimasti con obbligazioni senza alcun valore. Questi titoli, considerati “carta straccia”, sono stati invece acquistati da grandi gruppi finanziari e, tramite i loro avvocati e contatti altolocati, sono riusciti a colpire l’economia argentina. Il golpe economico non è stato ancora risolto, ma l’onda mediatica che cavalcò gli interessi della lobby finanziaria generò panico nella società e sfiducia nei partner dell’Argentina.

A gennaio del 2014, l’Argentina ha subito un altro golpe economico, un attacco speculativo sulla propria moneta. Non è la prima volta che alcuni gruppi finanziari intervengono pesantemente giocando a squilibrare valute in difficoltà. Nel caso argentino, la manovra voleva provocare la svalutazione del peso incoraggiando l’inflazione. Il governo ha denunciato che in un giorno la Shell e la banca Hsbc avevano commercializzato ingenti somme di valuta a prezzi ben al di sopra del suo valore di mercato. Hanno acquistato 3,5 milioni di dollari a 8,4 pesos, quando il dollaro era scambiato a 7,2. Questa manovra si è aggiunta al boicottaggio dei produttori di cereali che hanno immagazzinato la produzione in attesa di un cambio col dollaro più favorevole.

Nell’epoca della realtà virtuale forse non sono più necessari i carri armati per fare un colpo di Stato, il teatro degli eventi è una scena in cui intervengono più attori. Il testo del serial è sempre dettato dagli interessi economici legati ai grandi colossi mediatici che ci fanno vedere e ci raccontano cosa, in realtà, succede nel mondo. Quando alla concentrazione economica si aggiunge quella mediatica l’assedio finisce per avere ragione. Oggi l’America Latina che non è allineata nel neoliberismo subisce questi attacchi.

Non è facile frazionare i monopoli dei media, la scorsa settimana il gruppo Clarin, il più grande di America Latina, è stato beneficiato da nuove misure cautelari che rimandano l’applicazione della Ley de medios. La norma, approvata a larga maggioranza da entrambe le camere nel 2010, vorrebbe democratizzare l’informazione ma è ostacolata da un susseguirsi di sentenze.
La morte di Nisman approfondisce una frattura sociale sempre più radicalizzata. O si sta a favore o contro il governo di Cristina Kirchner, come un tempo tra peronisti e antiperonisti, o pro o anti militari. In queste circostanze il ragionamento, quando c’è, è mosso dalla logica di appartenenza. Una logica ottusa che nella storia argentina ha lasciato migliaia di morti ed esuli, quei 30.000 desaparecidos sono il risultato di questa cecità.