Così come era stato annunciato quando si arriva al dunque, vale a dire al momento in cui bisogna votare l’autorizzazione a procedere per il loro leader, i 60 senatori della Lega abbandonano l’aula di Palazzo Madama. Gesto plateale ma richiesto dallo stesso Matteo Salvini nell’intervento che l’ex ministro dell’Interno tiene a metà mattinata, al termine del quale si sfiora anche la rissa tra il pentastellato Marco Pellegrini e il leghista William De Vecchis.
A parte questo, il giorno del giudizio parlamentare di Salvini si è concluso come previsto, con l’aula del Senato che a maggioranza (152 voti contro 76) dice sì alla richiesta del tribunale dei ministri di Catania di processarlo per sequestro di persona per la vicenda della nave Gregoretti.

Si differenziano i senatori ex 5 stelle Saverio De Bonis e Carlo Martelli, del senatore Pierferdinando Casini (citato e ringraziato da Salvini) e dei due rappresentanti delle Autonomie Dieter Seger e Durnwalder Meinhard, che hanno votato a favore dell’ordine del giorno presentato da Forza Italia e Fratelli d’Italia in cui si chiedeva di negare l’autorizzazione a procedere. Ora gli atti torneranno al tribunale dei ministri di Catania per essere poi trasmessi alla procura etnea che dovrà istruire il processo.

Per l’occasione nella tribuna del Senato si fa vedere anche Giorgia Meloni, venuta per esprimere solidarietà all’alleato. Le prime parole del leghista sono però un mezzo passo falso. «Permettetemi di dire che se in questa aula oggi qualcuno scappa, non è fra i nostri banchi ma fra quelli del governo» attacca sottolineando come in aula non sia presente neanche un ministro. E costringendo però per questo la presidente Casellati a intervenire ricordandogli come in occasioni simili, dove le decisioni spettano a soli senatori, non è richiesta la presenza dell’esecutivo. Annotazione pressoché ignorata.

In quasi trenta minuti Salvini tocca poco e tardi il merito della questione, il mancato sbarco di 131 migranti dalla nave della Guardia costiera, preferendo dilungarsi su altro. Nomina più volte i figli, fino a provocare le proteste della maggioranza alle quali risponde ricordando come nessuno tra quanti protestano «ha ricevuto un sms con scritto ’Forza papà’». Accusa l’esecutivo di essere litigioso e per questo di non prendere mai decisioni, parla dei cantieri chiusi, ricorda di aver abbattuto con la ruspa una villa dei Casamonica, rivendica i decreti sicurezza e di aver chiuso alcuni centri di accoglienza per migranti. E poi cita Montanelli e, senza nominarli esplicitamente, anche Falcone e Borsellino. Quando finalmente parla della vicenda Gregoretti, lo fa per ribadire gli stessi concetti espressi da settimane: «Non ho paura del processo», ripete ribadendo come l’intera vicenda sarebbe stata gestita in accordo con il governo. «Chiunque sapeva che votando Lega avremmo fatto di tutto per chiudere i porti e combattere l’immigrazione clandestina», dice. Scelte e decisioni politiche prese «con i 5 Stelle.

Le dichiarazioni di quei giorni di Toninelli, Bonafede e Di Maio sono del 28, 30 e 31 luglio. O c’erano , ed erano d’accordo, o c’erano e non hanno capito. E sarebbe ancora più grave». Rivendica infine di aver difeso i confini nazionali, motivo per cui «chiariamo una volta per tutte davanti ai giudici se ho fatto il mio dovere e sono un sequestratore».

Ma la vera difesa di Salvini è affidata al suo avvocato, la senatrice Giulia Bongiorno. Per la responsabile giustizia del Carroccio nella vicenda Gregoretti «tutto il governo prese decisioni, ma non lo dico per chiamare in correità nessuno, perché nessuno ha commesso reati». E a riprova delle collegialità delle decisioni la senatrice ricorda una frase del premier, quando Conte disse: «Noi della presidenza del consiglio abbiamo lavorato perché bisogna ricollocare e poi consentire lo sbarco». Sarebbe sbagliato quindi, per Bongiorno, parlare di sequestro di persona: «Chi ritiene che ci sia un disvalore – è la conclusione – dovrebbe creare una fattispecie incriminatrice: rallentamento allo sbarco e poi processare Salvini».

Non la pensa così, tra gli altri, l’ex comandante della Guardia costiera ed ex M5S Gregorio De Falco che sottolinea le differenze tecniche tra la Gregoretti e la nave Diciotti per la quale in passato è stato richiesta l’autorizzazione a procedere sempre per Salvini (respinta in quel caso grazie ai voti dei M5S): «La Diciotti è una nave di 100 metri, costruita e allestita per il soccorso d’altura – ricorda il senatore -, la Gregoretti è di 60 metri e costruita per l’attività di vigilanza alla pesca e non può tenere a bordo un gran numero di persone per tanto tempo e sotto il sole: fu un’inutile crudeltà».