Una separazione netta tra la politica, o meglio, il programma di governo sulla gestione dei migranti e le decisioni che poi, di volta in volta, nel corso dell’esecutivo Conte 1 vennero prese in merito agli sbarchi degli stessi. Decisioni che, ha spiegato Giuseppe Conte, «sono di competenza del solo ministero dell’Interno».

Ci tiene a mettere subito alcuni paletti ben precisi il premier dimissionario quando, ascoltato ieri mattina a Palazzo Chigi dal gup di Catania Nunzio Sarpietro, per due ore e mezzo fornisce la sua versione su quanto accadde nel luglio del 2019, quando a 131 migranti che si trovavano sulla nave Gregoretti della Guardia costiera venne negato per alcuni giorni lo sbarco nel porto di Augusta. Una vicenda per la quale Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, è accusato di sequestro di persona.

«Un’ottima testimonianza che mi ha chiarito tantissimi elementi sulla politica di governo e sulla ricollocazione dei migranti», commenterà Sarpietro al termine dell’incontro.

Scopo della trasferta romana del giudice era quello di capire se ci sia stata o meno una copertura politica alla volontà di Salvini di ritardare lo sbarco di persone già duramente provate dai giorni trascorsi in mare. Se la scelta di tenere i migranti bloccati su una nave non attrezzata certo ad ospitarli fosse il frutto di un gioco di squadra oppure una decisione del leader leghista presa senza condividerla con l’esecutivo.

Su questo punto Conte è stato chiaro: esisteva, ha spiegato, un programma di governo di Lega e 5 Stelle che prevedeva un cambiamento della politica italiana per quanto riguarda i flussi migratori, l’impegno a modificare il regolamento di Dublino e per un maggiore coinvolgimento dell’Europa nella redistribuzione di coloro che arrivavano sulle nostre coste. E questa è la parte politica, ha sottolineato il premier. Per spiegare poi che altra cosa è dire che le procedure di sbarco fossero conseguenza di decisioni collegiali, tanto da affermare di non aver saputo delle decisioni che stava prendendo il suo ministro dell’Interno attraverso un atto amministrativo. E alla domanda se fosse stato deciso di attendere il via libera dei Paesi europei al ricollocamenti prima di autorizzare lo sbarco, il premier ha risposto di no, al punto che il caso Gregoretti non fu discusso neanche nell’unico consiglio dei ministri che si tenne in quei giorni. Insomma compito di palazzo Chigi, è la tesi del premier, era quello di avviare contatti internazionali con gli altri Paesi per la relocation, e non di attivarsi per indicare un porto sicuro o decidere sull’eventuale trattenimento dei migranti sulla nave.

Per Salvini e il suo avvocato, la senatrice Giulia Bongiorno, le parole del premier rappresentano comunque una conferma delle tesi della difesa: «Finalmente è venuta fiori la verità», ha commentato Bongiorno, per la quale Conte avrebbe confermato che l’azione dell’ex ministro era in linea con la politica del governo: Salvini si sarebbe opposto alla sbarco in attesa della redistribuzione dei migranti.

Soddisfatti per come è andata l’audizione anche i legali di parte civile. «Il fatto che il governo Conte 1 avesse una politica sull’immigrazione non sposta nulla, l’importante è che questa politica non arrivava fino a decidere la chiusura dei porti», ha commentato il legale dell’Arci, l’avvocato Antonio Feroleto. Soddisfatta anche l’avvocato Daniela Ciancimino, difensore di parte civile di Legambiente: «La cosa principale che Conte ha detto – ha affermato – è che la concessione del Pos, del Place of safety, e quindi al decisione di sbarcare o meno è propria del ministro dell’Interno, quindi un atto tipico che può prendere solo lui e che queste decisioni sono state prese dal ministro Salvini».