«Certo che sarò in aula. Non vedo l’ora di andare a processo perché ritengo di aver fatto il mio dovere di difendere i confini dell’Italia e degli italiani». Matteo Salvini continua a ripetere di voler spiegare le motivazioni che lo hanno spinto a negare lo sbarco dei 135 migranti che a luglio dell’anno scorso si trovavano sulla nave Gregoretti ma difficilmente domani, quando l’aula del Senato dovrà decidere se autorizzare o meno il processo all’ex ministro dell’interno come chiesto dal Tribunale dei ministri di Catania, si assisterà alle stessa scena vista in Giunta per le immunità, quando anche la Lega votò a favore del procedimento. Superato il voto in Emilia Romagna e Calabria, il leader della Lega non ha più motivo di rinnovare una simile richiesta. Anzi fanno notare dal Carroccio che chiedere ai 60 senatori della Lega di votare a favore dell’autorizzazione rappresenterebbe un po’ un’ammissione di responsabilità. Molto più probabile, quindi, che i leghisti lasceranno l’aula al momento del voto e comunque dopo aver sentito l’intervento difensivo del loro leader. Una scelta che ieri ha suscitato l’ironia di Pietro Grasso: «Prima delle elezioni regionali ha sbandierato che voleva andare processo sul caso Gregoretti. Scusi Salvini, conferma o scappa?» ha scritto su Facebook l’ex presidente del Senato.

Ma i tema di immigrazione il caso Gregoretti non è l’unica novità. Ieri la Farnesina ha inviato alle autorità libiche la proposta di revisione del memoradum bilaterale del 2017 per la cooperazione in campo migratorio. «Il testo introduce significative innovazioni per garantire più estese tutele ai migranti, ai richiedenti asilo e in articolare alle persone vulnerabili vittime dei traffici irregolari che attraversano al Libia e per promuovere una gestione del fenomeno migratorio nel pieno rispetto dei principi della Convenzione di Ginevra delle altre norme di diritto internazionale su diritti umani», è scritto in una nota del ministero degli esteri. Si tratta più che altro di una lista di buoni propositi visto che la Libia non ha mai formato al convenzione di Ginevra, ma soprattutto dal momento che nessuno può garantire il rispetto degli impegni assunti dai libici – ammesso che lo facciano – a cuasa della per la fragilità della tregua nel conflitto che divide il Paese nordafricano.

Quello che è sicuro, invece, è che l’Italia si prepara a rifornire ancora una volta il governo del premier Serraj di mezzi terrestri e navali la maggior parte dei quali destinati alla cosiddetta Guardia costiera libica. Per la precisione mezzi e forniture per un valore di 800 milioni di euro, cifra nella quale sono comprese altre due motovedette, 30 jeep, furgoni per trasportare i migranti, telefoni satellitari, ma anche attrezzature subacquee e binocoli per la visione sia diurna che notturna. La Libia si sarebbe impegnata a non riarmare le motovedette, che verranno comunque impiegate per intercettare e fermare i barconi di quanti tentano di raggiungere l’Europa.

«Siamo curiosi di conoscere le ‘significative innovazioni’ che il ministero degli Esteri italiano avrebbe proposto alla Libia per garantire la piena tutela dei diritti umani di rifugiati e migranti, nell’ambito del memorandum», hanno commentato Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini, segretario e tesoriera di Radicali Italiani che hanno anche chiesto al governo italiano di sospendere subito il memorandum. «Con il livello di violenza generalizzata che dilaga nel paese, fino a quando l’accordo per il contenimento dei flussi migratori sarà in vigore non ci sarà modo di evitare di esporre migranti e rifugiati al rischio di abusi e maltrattamenti».