Nunzio D’Erme è un istruttore di nuoto. I bambini che partecipano ai suoi corsi l’adorano, così come i loro genitori. Piace la cordialità con cui insegna ai più piccoli a stare in acqua e a nuotare. È insomma un uomo generoso e appassionato, riconosciuto per la sua professionalità e il garbo con cui la esercita. Queste sue doti, per la procura romana, costituiscono un’aggravante, che da stamattina gli stanno costando una detenzione nel carcere di Regina Coeli.

È stato imprigionato «in ragione della sua figura carismatica e per il suo ruolo di leadership», sostiene il capo d’imputazione. Insieme a lui, incriminato anche il ventottenne Marco Bucci, militante spartachista. L’accusa parla di resistenza e lesioni, ma in realtà il reato che viene addebitato ai due è l’antifascismo. Nella scorsa primavera, insieme ad altri ragazzi di Cinecittà, hanno respinto l’aggressione di una squadraccia di monaci omofobi, quei crepuscolari figuranti di Militia Christi. In sé, né più né meno di una baruffa, squallidamente provocata per contestare un incontro pubblico sul diritto alle differenze. E aver difeso quell’assemblea, che peraltro si stava svolgendo in una sede istituzionale, in una sala del Municipio, per le burocrazie giudiziarie diventa un reato, con tanto di misure detentive.

È molto difficile resistere alla tentazione di interpretare questi arresti come un ulteriore passaggio di questa stagione persecutoria, che da qualche tempo aleggia cupamente in città. Oltre a D’Erme e Bucci, sono in stato di detenzione due esponenti del movimento di lotta per la casa, Di Vetta e Fagiano. Così com’è in corso l’istruttoria giudiziaria sull’Angelo Mai. E nell’ultimo anno abbiamo assistito a sgomberi su sgomberi, da Tor di Nona a Via delle Acacie, dal Volturno all’America.

Dopo più di un decennio di esperienze di movimento tanto vitali quanto consapevoli, che hanno determinato un’impronta politica tra le più avanzate in Italia (e in Europa), la linea di comando repressiva, tra incriminazioni e interventi muscolari, sta sistematicamente sfibrando il tessuto connettivo della sinistra sociale. E lo scopo è ridurre a un’emergenza di ordine pubblico quello che è stato (ed è tuttora) un largo processo sociale di fertile contaminazione tra rivendicazione di bisogni e iniziativa politica. Un percorso che ha agito sulla progettazione sociale, sulla riappropriazione dei beni comuni, sulle politiche dei diritti, sulla rigenerazione territoriale.

È insomma un attacco politico a vasto raggio. Analogo a quello in corso in Val di Susa o nel Metapontino, anche qui con arresti e incriminazioni. Un attacco politico in assenza della politica: o meglio, in sostituzione della politica, apparentemente neutrale, in realtà compartecipe. E a Roma tutto ciò avviene con una nitidezza tanto spietata quanto avvilente. D’Erme è stato un consigliere comunale per molti anni, un ottimo consigliere comunale: in molti ricordano e ancora apprezzano le sue battaglie, la sua passionalità. Oggi è in galera. Lungo questa parabola traspare tutta l’opaca viltà dell’attuale politica romana.