Il coraggio di collaborare con la giustizia lo ha trovato quando ha capito che non poteva più nascondere la verità al figlio di nove anni e che doveva ammettere che quel Raffaele D’Alessandro di cui parla il telegiornale, quel carabiniere indagato dalla procura di Roma per il «violentissimo pestaggio» di un giovane detenuto poi morto nelle mani dello Stato è proprio suo padre. E, sì, «babbo anni fa ha fatto qualcosa di sbagliato e ora dovrà pagarne le conseguenze, che non si sa quali saranno», è stata costretta a spiegare al bambino. Ad aggiungere un altro tassello alla lunga strada verso la verità sulla morte di Stefano Cucchi è un’altra donna, Anna Carino, ex moglie di uno dei tre militari in abiti civili (oltre a D’Alessandro, Bazzicalupo e Di Bernardo) che insieme ai due in divisa (Tedesco e Aristodemo) intervennero, il 15 ottobre 2009 alle 23:30 in via Lemonia, per arrestare l’allora 31enne geometra romano sorpreso, secondo il verbale stilato nella caserma di via Appia, a spacciare stupefacenti.

I dettagli dell’intera vicenda sono stati riassemblati dal sito Altraeconomia che, per poter offrire una visione d’insieme di quelle ultime ore di Cucchi, ha ricostruito «momento per momento, luogo per luogo, referto per referto» quei sette giorni trascorsi dal geometra romano nelle mani dello Stato, prima di morire in assoluta solitudine nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini, in una efficace mappa navigabile aggiornata al 5 gennaio 2016, «una sorta di linea del tempo interattiva che consente ai lettori di comprendere pienamente la dinamica dei fatti, la quale da poco ha assunto nuova luce».

I riflettori infatti si sono recentemente accesi sulla telefonata tra Anna Carino e il suo ex marito, D’Alessandro, intercettata dagli inquirenti e già agli atti dell’inchiesta bis aperta dal procuratore Pignatone. La donna – 29 anni e tanto coraggio, indipendentemente dalla veridicità delle sue dichiarazioni – assicura ora al Tg3 che l’ha intervistata di essere disposta a testimoniare in aula in un futuro processo contro il padre di due dei suoi tre figli e spiega i motivi per i quali ha deciso di parlare a pochi giorni dall’incidente probatorio che si terrà il 29 gennaio prossimo per accertare le cause della morte di Stefano: «Perché è giusto che a quella famiglia venga data giustizia». «Ho voluto incontrare Ilaria per chiederle scusa, per farle capire che mi dispiace – afferma davanti alle telecamere – Avrei dovuto parlare prima, ma non l’ho fatto perché avevo paura, ho tre bambini, e quindi non è facile. Ilaria mi ha detto semplicemente “grazie”, immagino quanto possa essere stato difficile».

Ricorda Anna Carino che D’Alessandro raccontava di come «quella sera gliene avevano “date tante”, questo – puntualizza la donna – è il termine che lui ha usato». Il carabiniere lo raccontava «divertito», «con spavalderia, quasi vantandosene», perché, ipotizza Carino, «forse si sentiva intoccabile». E in effetti D’Alessandro, come Di Bernardo, non compaiono nel verbale di arresto di Cucchi e rimangono fuori dai due gradi di giudizio del primo processo conclusosi senza colpevoli. Finiscono però sul registro degli indagati, insieme a Francesco Tedesco, per lesioni personali aggravate e abuso d’autorità, nella seconda inchiesta aperta da Pignatone che vede anche accusati di falsa testimonianza il maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante interinale della stazione Appia, e Vincenzo Nicolardi, l’appuntato scelto che, secondo l’accusa, accompagna Stefano Cucchi – dopo il pestaggio e le procedure di arresto – nella stazione dei carabinieri di Tor Sapienza. «Qualsiasi cosa possa aver fatto questo ragazzo – conclude Anna Carino -, massacrarlo così di botte non credo sia giustificabile».

Parole che per il legale di D’Alessandro, l’avvocata Maria Lampitella, si prestano a «battaglie mediatiche» «al solo fine di originare sentenze populistiche ad esclusivo vantaggio personale. «Pur premettendo il dovuto rispetto per il dolore della famiglia Cucchi», Lampitella invita «tutte le parti processuali» ad evitare «attacchi gratuiti e personali ad un soggetto, servitore dello Stato, che si trova, si sottolinea, sottoposto ad indagine e non imputato, e che possono alterare la serenità di chi dovrà giudicare i fatti accaduti».