Bisognerà aspettare il 13 maggio per la decisione. Ma intanto ieri, nell’udienza preliminare al Tribunale di Milano davanti alla gup Chiara Valori, i pm Paolo Filippini e Carlo Scalas hanno ribadito la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, accusato di frode in pubbliche forniture nell’ambito del cosiddetto «caso camici».

Il governatore leghista, insieme ad altri quattro indagati, era finito al centro dell’indagine per l’affidamento da parte di Aria spa, centrale acquisti della Regione, di una fornitura – poi trasformata in donazione – da circa mezzo milione di euro per 75 mila camici e altri dpi alla Dama spa, società al 90% del cognato Andrea Dini e al 10% di Roberta Dini (moglie di Fontana). Di quei 75 mila camici, solo 50 mila furono consegnati al Pirellone prima che la fornitura si tramutasse in “donazione”; mentre i 25mila che mancavano all’appello erano stati ritrovati – e sequestrati – dalle Fiamme Gialle proprio nella sede dell’azienda detentrice, tra gli altri, del marchio Paul & Shark.

I pm Filippini e Scalas hanno dunque reiterato la richiesta in aula, certi di avere prove a sufficienza nei confronti non solo di Fontana ma anche di Dini, di Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, rispettivamente ex Dg e dirigente di Aria e di Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione. La parola alle difese spetterà il 29 aprile ma il legale di Fontana, Jacopo Pensa, ha già anticipato che da parte dei pm milanesi si è trattato di «una lettura molto accusatoria. Per loro c’è stato un elemento fraudolento, ingannatorio e malizioso». Pensa, insieme al collega Federico Papa, continua a sostenere che «non ci sia stata frode» ma – stando agli atti di chiusura delle indagini (datati 21 luglio 2021) – simulare l’esistenza di un contratto di donazione al posto di uno di fornitura retribuita da parte di Fontana sarebbe stato un tentativo di camuffare un palese conflitto d’interesse. Insomma, un espediente ex post il cui goffo tentativo di “risarcimento” è stato smascherato da un pagamento – mai andato a buon fine – da un conto in Svizzera intestato proprio al governatore.

A proposito dei conti svizzeri, lo scorso 22 febbraio la gip di Milano Natalia Imarisio aveva archiviato «per mancanza di elementi» l’accusa di autoriciclaggio e falso nella voluntary disclosure in relazione a 5,3 milioni di euro che erano depositati su un conto corrente in Svizzera, “scudati” nel 2015, e ai 2,5 milioni ritenuti il frutto di evasione fiscale. L’archiviazione era arrivata solo in seguito alla mancata risposta da parte della Svizzera alla rogatoria avanzata dalla Procura e all’impossibilità di acquisire «risultanze sufficienti».