«Quella foto che ha fatto vedere la madre è una foto terribile, ma quella macchia rossa dietro è un cuscino. Gli avevano appoggiato la testa su un cuscino. Non è sangue, ma neanche la madre ha detto che è sangue e neanche lo può dire, perché non è così». Parole sprezzanti riguardanti la fotografia del cadavere del povero Federico Aldrovandi disteso su un lettino dell’obitorio che molti lettori del manifesto ricorderanno, pronunciate nel marzo 2013 ai microfoni di Radio 24, da Carlo Giovanardi.

Una frase che – così ha deciso ieri la Giunta per le Immunità di Palazzo Madama di cui lo stesso Giovanardi fa parte – non ha nulla a che vedere con le attività parlamentari dell’allora senatore Pdl, ma è stata declamata in diretta radiofonica in un botta e risposta con il conduttore de «La zanzara», Giuseppe Cruciani, in qualità di semplice cittadino. Perciò come tale può essere sottoposto a giudizio.

Di qui il voto favorevole – espresso dai membri della Giunta del Pd, di Sel e del M5S con l’opposizione di Forza Italia, Gal, Ncd e Lega – all’autorizzazione a procedere richiesta dai giudici di Ferrara nei confronti del senatore Ncd-Ap, accusato di diffamazione aggravata dalla signora Patrizia Moretti, la madre del diciottenne morto nel 2005 a seguito delle percosse subite durante l’arresto per le quali sono stati condannati in via definitiva quattro poliziotti. A quegli agenti, obbligati per altro la settimana scorsa dalla Corte dei conti a risarcire lo Stato pagando una somma complessiva che supera i 560 mila euro, andò la solidarietà non solo del senatore che a questo punto – se il voto verrà confermato dall’Aula di palazzo Madama – dovrà rispondere in dibattimento delle sue parole, ma anche di un sindacato di polizia che organizzò una manifestazione sotto le finestre dell’ufficio comunale di Ferrara dove lavora Patrizia Moretti.

Intanto contro la decisione della Giunta si sono subito scagliati il presidente dei senatori di Area popolare Ncd-Udc Renato Schifani, e gli amici Fabrizio Cicchitto, Roberto Formigoni e Gabriele Albertini, sodali immancabili di tante crociate del senatore Giovanardi, che parlano di «persecuzione di opinioni, discutibili ma legittime», e bollano il voto espresso da uno «schieramento politicista aprioristico e ultra giustizialista» come «un atto di servilismo nei confronti di un settore della magistratura».

Ma la Giunta, spiega la vicepresidente Stefania Pezzopane «ha ritenuto, senza entrare nel merito della questione perché non è di nostra competenza farlo, che il provvedimento di indagine dovesse andare avanti». «Dopo un’attenta analisi, attraverso una disamina dei fatti, con audizioni e producendo di tutto questo anche una memoria –- aggiunge la senatrice democratica – non abbiamo ritenuto di riconoscere in questo caso l’insidacabilità dell’opinione del parlamentare perché non è stata riscontrata un’evidente corrispondenza tra l’attività parlamentare del senatore e la dichiarazione resa extra moenia in quel contesto».

Giovanardi però non chiede scusa e polemizza con i suoi colleghi senatori perché, dice, «la giunta ha deciso in circa mezz’ora, in assenza mia e di colleghi come D’Ascola o Buemi che aveva chiesto la cortesia di poter intervenire sulla questione, invece il problema è stato risolto in mezz’ora con una maggioranza schierata Pd-M5S».