L’idea è semplice: «Se la sindaca Virginia Raggi non ci ascolta, andiamo a farci sentire direttamente dal suo capo». Il prossimo 23 novembre i movimenti per il diritto alla casa di Roma andranno a manifestare davanti al teatro Flaiano, dove Beppe Grillo porterà in scena l’one man show intitolato «Insomnia». Il titolo, fanno sapere dall’entourage del comico, fa riferimento «all’insonnia che tormenta Grillo da 40 anni, che lo porta a farsi domande scomode, a interrogarsi sull’ovvio e a trovare risposte azzardate».

NELLE INTENZIONI dei promoter dovrebbero essere «serate evento speciali, per pochi intimi, in cui Beppe e alcuni amici condividono la loro visione del mondo che è e che verrà», ma rischiano di diventare molto altro. Per la prima volta, il Grillo attore potrebbe avvertire le ripercussioni della sua vita parallela: il Grillo fondatore di quello che (stando ai sondaggi) è il primo partito italiano e «garante» della formazione che amministra la capitale, viene indicato come destinatario di una protesta di piazza.

Il fatto è che tra la sindaca e i movimenti i rapporti sono al minimo storico. L’ultimo motivo di scontro è legato ad alcune casette col marchio Ikea spuntate in uno spiazzo dalle parti dell’ospedale San Camillo, nella parte ovest della città. Si tratta di «moduli abitativi» da mille euro l’uno, baracche di plastica grandi 17,5 metri quadri e alte meno di due metri per sei posti letto che la multinazionale svedese aveva concepito per le situazioni di emergenza.

PER CAPIRE come mai una sindaca che aveva promesso di smantellare i campi rom sia in procinto di fondare altre baraccopoli per i senza tetto e per i più poveri, dobbiamo andare indietro di tre mesi esatti. Era il 19 agosto quando il grande palazzo occupato, soprattutto da rifugiati eritrei, dalle parti della centrale piazza Indipendenza venne sgomberato.

L’operazione di sgombero fu particolarmente cruenta. Emerse in particolare l’incapacità di fornire soluzioni alternative agli sfollati, che per giorni si accamparono in piazza e denunciarono la loro condizione. Fu allora che il ministro dell’Interno Marco Minniti emanò una circolare che la sindaca Raggi accolse con entusiasmo, salutandola con un tweet di condivisione e recandosi al Viminale a stringere la mano all’inquilino del ministero.

IN QUEL DOCUMENTO si «suggeriva» di evitare che in futuro gli abitanti dei palazzi occupati venisse concesso il tempo di mettere radici e si prometteva che non si sarebbe più proceduto a sgomberi sconvenienti, che non prevedessero soluzioni alternative. Quasi in contemporanea emerse un altro punto di frizione cruciale tra Raggi e i movimenti per il diritto all’abitare: si apprese che l’amministrazione comunale non aveva intenzione di applicare la delibera regionale che stanzia dei fondi per il diritto alla casa, nello specifico nel punto in cui veniva riconosciuto un posto nelle future case popolari agli attuali occupanti. Raggi disse che non aveva intenzione di concedere nulla agli «abusivi», relegando la storia delle circa 10 mila persone che vivono in palazzi occupati a Roma all’illegalità, al massimo trattandola come faccenda di marginalità da consegnare ai servizi sociali.

Come ha scritto Federico Bonadonna su questo giornale nei giorni scorsi, la giunta Raggi ha bandito una «gara con procedura negoziata» finalizzata al «reperimento di strutture di accoglienza temporanea, articolata in moduli abitativi, anche prefabbricati, preferibilmente in contesti ‘diffusi’ nel territorio cittadino/area metropolitana o, in alternativa, in un unico complesso, per ospitare nuclei familiari in condizioni di grave vulnerabilità sociale, per un numero massimo di 100 persone».

Tutto lascia supporre che la borgata postmoderna di lamiera e plastica messa in piedi in via Ramazzini dalla Croce Rossa serva proprio a questo scopo: ospitare uomini, donne e bambini colpiti dai prossimi sgomberi. «Con quel bando – sostengono i movimenti per il diritto all’abitare in una lettera aperta – l’amministrazione comunale si impegna a spendere quasi un milione di euro l’anno per realizzare strutture precarie, non dignitose e temporanee, mentre gli stessi soldi potrebbero e dovrebbero servire a dare nuove case popolari a Roma».

LA LETTERA è rivolta a cooperative, ong e associazioni, che hanno ricevuto l’invito a partecipare alla gara d’appalto (che stanzia circa 900 mila euro) per chiedere loro «di rifiutare il bando». La gara indetta dal Campidoglio scade il prossimo primo dicembre, dunque ancora non risulta assegnata. Ma la coincidenza dei tempi e la caratteristica delle strutture è lampante. A giorni sapremo chi avrà la sfortuna di vivere nella nuova baraccopoli. A meno di 5 chilometri dal teatro in cui Beppe Grillo metterà in scena il suo spettacolo. giuliano santoro