Nell’Italia massacrata dalla crisi e dalla disoccupazione e afflitta dalla povertà che calpesta la dignità e i diritti dell’uomo impedendo la crescita del Paese, i problemi legati al diritto all’abitare, figli dell’assenza di politiche abitative adeguate, si manifestano con forza sempre maggiore.
Ricordiamo, a tal proposito, l’articolo 25, comma 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948: «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà».
«Diritto all’abitazione», dunque. Eppure il disagio provocato dalla precarietà abitativa risulta oggi tra i temi più caldi, complessi e urgenti; i soggetti interessati sono disoccupati, famiglie a basso reddito, studenti fuori sede, sfrattati, anziani, immigrati, senza fissa dimora, ma anche coloro che si impegnano nel quotidiano per il diritto alla casa.
Nella maggior parte dei casi, i media si limitano a riportare una serie di percentuali, numeri asettici che, se da un lato hanno il pregio di fornire un quadro generale di questa situazione di precarietà, dall’altro impediscono di dare un volto e una voce ai protagonisti di cui abbiamo scelto di parlare in quest’antologia.
Come scrive Salvatore Settis in Paesaggio Costituzione e cemento, l’Italia ha il più basso tasso di crescita demografica d’Europa (e uno dei più bassi del mondo) e contemporaneamente il più alto tasso di consumo di territorio. Nonostante la Costituzione tuteli il paesaggio e il patrimonio culturale del nostro Paese, infatti, la cementificazione e la speculazione edilizia aggrediscono ogni giorno centinaia di ettari di spazi verdi e suolo agricolo.

[do action=”citazione”]A Roma dallo “Tsunami tour” dei movimenti per il diritto alla casa sono nate nove nuove occupazioni, che si aggiungono alle dieci dello scorso inverno.[/do]

Non è dunque l’assenza di abitazioni il problema. Tutt’altro. Le case ci sono, ma sono vuote, sfitte e non vengono messe a disposizione di chi ne ha bisogno. Il loro sfruttamento, unito alla concessione di alloggi popolari, sarebbe già un buon punto di partenza per risolvere la situazione. Le risposte fornite dalla politica, però, si sono dimostrate sinora del tutto inadeguate. Per fare un esempio riguardante Roma, luogo principale della nostra antologia, sebbene non il solo, il bando per l’assegnazione delle case popolari è ripartito solo a gennaio 2013, a tre anni di distanza dalla chiusura della precedente graduatoria a opera dell’allora assessore Antoniozzi, avvenuta a dicembre 2009.

Di fronte a questo apparente disinteresse, i senza casa non hanno potuto fare altro che rispondere con mobilitazioni e manifestazioni di piazza, spalleggiati dai sindacati del diritto all’abitare – Unione Inquilini, Sicet, Uniat, Sunia – e dai movimenti di lotta per la casa, con l’obiettivo di prendersi da soli i propri diritti, ovvero, in questo caso, gli spazi.
Tuttavia, ricordiamo che c’è anche chi, non avendo un alloggio, non ha neanche le risorse né l’energia per scendere in campo e lottare. È la triste e altrettanto problematica realtà di chi sceglie come alternativa alla casa la strada, o vi si ritrova a vivere per semplice e disumana costrizione, perché non può permettersi un tetto e lo Stato non si pone in condizione di migliorare la sua situazione. Questo porta inevitabilmente a occupazioni abusive, come il racket della compravendita illegale di alloggi pubblici, tema delicatissimo da affrontare.
I numerosi disagi trasformano il diritto della casa in un’assenza vera e propria, se non in una violazione pura. In primis va evidenziato il tema degli sfratti. La legge di stabilità non ha favorito in modo totale individui e famiglie che erano sotto sfratto; sono stati esclusi nella proroga, infatti, gli sfratti per morosità incolpevole, pari al 90 per cento, una percentuale davvero elevata. Il problema del caro affitti, invece, doveva essere in parte arginato dalla cedolare secca (art. 3 del Dlgs 23/2011), l’imposta “facoltativa” che sostituisce le altre addizionali che disciplinano la locazione. Ovvero: il proprietario che accetta di aderire alla cedolare secca rinuncia al- l’adeguamento Istat del canone di locazione e paga l’aliquota del 21 per cento sul 100 per cento del canone senza più pagare né il bollo né le addizionali comunali e regionali all’Irpef, né l’imposta di registro. Nonostante l’introduzione della cedolare secca, il previsto calo degli affitti non è avvenuto. Questa modalità, infatti, ha abbassato le tasse per tutti proprietari, sia quelli che praticano libero mercato sia quelli che richiedono un affitto più moderato, invece che concedere sgravi fiscali solo in caso di effettivo abbassamento dei canoni. A essere favoriti sono stati dunque solo i proprietari più ricchi, che mantengono affitti alti ma pagano meno tasse.
Queste sono le maggiori problematiche connesse alla crisi del diritto all’abitare. Così come negli anni Settanta, anche oggi si scende in piazza per contrastare questi nodi con vere e proprie lotte autorganizzate. Di importanza rilevante è la recente ondata di occupazioni messe in atto dai movimenti del diritto all’abitare, che nella Capitale quest’anno ha reso calda tanto la stagione autunnale quanto quella primaverile. Non si tratta di un gioco, né di capricci. Parliamo invece di uomini consapevoli che lottano perché il loro diritto alla casa non venga più violato.
Sono dieci le occupazioni realizzate a dicembre tra viale delle Province, Trastevere, Ostiense, Anagnina, Ponte di Nona, Torrevecchia, Settecamini, mentre la primavera è stata attraversata da quello che è stato definito “Tsunami Tour”, che a Roma ha permesso di sottrarre altri nove stabili alla speculazione edilizia e ai cosiddetti signori del mattone: sono state le case sfitte di Caltagirone a Ponte di Nona, così come quelle di Garbatella, nell’ex Asl dismessa. E altre sulla Tiburtina, l’Appia, a Casal Bertone, San Basilio, San Lorenzo.