Nel padiglione Architecture as New Geography della Biennale d’architettura di Venezia del 2012 l’opera dell’architetto brasiliano Paulo Mendes Da Rocha è stata omaggiata dallo studio irlandese Grafton Architects, che ha allestito negli spazi del Padiglione centrale dei Giardini alcuni suoi disegni per lo stadio di Serra Dourada (Goiás). L’evento veneziano ha rappresentato una rara occasione: nonostante i numerosi riconoscimenti internazionali, Mendes da Rocha si è sempre tenuto lontano dalle grandi vetrine e dalle logiche dello star system, concentrato piuttosto a «mediare le contraddizioni» di un contesto socialmente e economicamente difficile come quello del Brasile.

All’architetto è stata dedicata una importante monografia Paulo Mendes da Rocha. Tutte le opere, scritta da Daniele Pisani per la collana Electaarchitettura. Il volume descrive l’opera del Premio Pritzker 2006 intrecciando le sue vicende biografiche con gli eventi storici del Brasile del dopoguerra. L’impegno e la tensione verso le questioni politiche e sociali del paese emergono come temi costanti nella carriera dell’architetto, e costituiscono un leit motiv, un filo rosso che l’autore Pisani usa per intrecciare le fila del suo racconto.

Subito dopo la laurea, appena trentenne, Mendes Da Rocha vince il concorso per la palestra del Clube Atlético del Paulistano (San Paolo 1958-61); l’opera rappresenta un vero e proprio debutto, e «l’astro nascente della scena paulista» sarà chiamato nel 1960 da J. B. Vilanova Artigas, l’allora «maestro» del panorama architettonico brasiliano, come assistente nel proprio corso alla Faculdade de Arquitetura e Urbanismo (Fau), dell’Università di San Paolo. L’evento risulta decisivo e la collaborazione tra i due architetti consoliderà, nel più giovane, l’impegno verso una dimensione politica dell’architettura come «projecto de humanidade». Un intero capitolo del libro è dedicato alla serie di abitazioni realizzate da Mendes Da Rocha. Tali esperienze rappresentano un lungo laboratorio di sperimentazione, all’interno del quale si sono consolidati alcuni aspetti che hanno poi caratterizzato tutta la sua opera. Emerge in questo capitolo l’«intolleranza verso il senso comune» mostrato dalle case, e la volontà di rinnovare il tema dell’abitare trasformandolo in istanza di uguaglianza sociale, secondo un modello di casa per tutti, realizzato in strutture prefabbricate e ripetibile in serie. Dalla radicalità delle prime esperienze, in cui la casa si configurava come un vero e proprio progetto politico, l’architetto passa poi alla realizzazione di case intese come unicum, come opere magistrali che svelano la delusione per la speranza, ormai perduta, di conferire all’abitazione un ruolo proto tipico, ed emerge da qui una prima, momentanea, «ritirata dal campo di battaglia» dell’architettura di Paulo Mendes.

Data decisiva, nel racconto di Pisani e nella vita dell’architetto, è il 1964, l’anno del golpe e della violenta repressione del governo militare. In questa data Artigas, iscritto al partito comunista, viene incarcerato, e cinque anni dopo, nel 1969, alcuni architetti, tra cui Paulo Mendes, vengono esonerati dai loro incarichi di professori universitari e revocati dai loro contatti con l’amministrazione pubblica. È in questo momento di crisi che Mendes da Rocha realizza il Padiglione per l’Esposizione di Osaka del 1970: uno spazio unico, racchiuso nella tensione tra una grande copertura, sorretta da travi in cemento armato, e un «suolo attivato, reinventato nel suo rilievo altimetrico». La riconfigurazione della porzione di suolo su cui attacca la costruzione, la «razionalità matematica» e allo stesso tempo l’eleganza plastica del cemento armato trasformeranno il padiglione in un’opera manifesto della poetica di Paulo Mendes, e in una dichiarazione di appartenenza ai principi dell’architettura paulista.

La morte di Artigas, nel 1985, e il ritorno alla democrazia della metà degli anni Ottanta sembrano segnare la fine di un’epoca; il dibattito architettonico stenta a trovare direzioni forti e innovative e Paulo Mendes resta fedele ai principi della scuola del brutalismo paulista, già all’epoca in procinto di storicizzazione. Nel 1986, l’architetto torna sulla scena con la realizzazione del MuBE, Museu Brasileiro de Escultura e con la costruzione della cappella dedicata a Sao Pedro.

Le due opere diventano paradigmatiche della dimestichezza con cui l’architetto si serve delle potenzialità del cemento armato: da elemento urbano, nella trave-portale del MuBE, a materiale espressivo, nel sofisticato gioco tra il basamento in vetro e la copertura della cappella. Ed è in particolare in questo capitolo, e in quello dedicato alle residenze, che il racconto affidato alle parole sembra per un attimo arrestarsi, quasi ad assecondare, nel silenzio, la narrazione affidata alle fotografie di Leonardo Finotti. In quasi tutte le immagini del libro superfici nude in cemento armato emergono come presenze forti e decisive, capaci di disegnare, con inaspettata eleganza, anche gli ambienti più intimi delle abitazioni. Le opere di Paulo Mendes Da Rocha rivelano cromie e atmosfere singolari, che le foto restituiscono nei contrasti tra il verde delle piante tropicali e il grigio ruvido e scabroso del cemento, ai quali spesso si uniscono i toni accesi di alcune campiture colorate poste sulle nude superfici.

Nel penultimo capitolo del libro sono raccolte le opere recenti dell’architetto, molte delle quali basate sulla rilettura di alcuni contesti esistenti, in cui la preesistenza, lasciata pressoché integra, viene implementata dall’aggiunta di «elementi parassita» o di nuovi significati attribuiti agli spazi, come è avvenuto nel progetto di riqualificazione della Pinacoteca do Estado di San Paolo nel 1993-98, e nel progetto per la nuova sede della Federçao das Industrias des estado di San Paolo nel 1996.

Al testo e alle fotografie si affianca un terzo, fondamentale, strumento di lettura dell’opera di Mendes da Rocha: il corpus di schizzi e disegni, molti dei quali inediti, che l’autore ha raccolto e pubblicato in questa monografia. I segni di matita su carta scura, netti e allo stesso tempo sensuali, e le piante tropicali disegnate come nuvole stilizzate bastano, già da soli, ad intuire la potenza di strutture complesse ed altamente espressive. «E proprio perché si può disegnare soltanto ciò che si sa come costruire, (…) ciascuno dei suoi schizzi contiene già un intero progetto, delinea la configurazione dell’edificio costruito, ne chiarisce la concezione statica e ne descrive la struttura (…) e (offre) una dimostrazione esemplare che la concisione è la premessa dell’eloquenza». Con queste parole Francesco Dal Co descrive i disegni dell’architetto nell’introduzione al libro, accompagnando il lettore verso un viaggio appassionante in Sud America, in un’esperienza che si svolge nelle pagine del testo, tra contesti esotici e sculture in forma d’architettura.