Roberto Formigoni comincia a fare i conti con la giustizia. Il processo sul caso Maugeri e San Raffaele che vede l’ex governatore della Lombardia imputato per associazione a delinquere e appropriazione indebita inizierà il 6 maggio, ma ieri i magistrati milanesi hanno già disposto un maxi sequestro da 49 milioni di euro. La Guardia di finanza di Milano ha bloccato tutti i conti intestati a Formigoni – tranne quello dove gli viene versato lo stipendio da senatore – e ha posto i sigilli ad alcuni immobili a Lecco e Sanremo e soprattutto alla villa in costa Smeralda che secondo l’accusa Alberto Perego, amico e convivente di Formigoni, avrebbe comprato a prezzo di saldo dal faccendiere Pierangelo Daccò per conto del Celeste.

Secondo il gup Paolo Guidi, che ha accolto la richiesta dei pm Laura Pedio, Antonio Pastore e Gaetano Ruta, in totale l’associazione per delinquere avrebbe fatto guadagnare agli associati oltre 61 milioni. I 49 milioni sequestrati riguardano solo i profitti realizzati dopo l’aprile 2006 e comprendono 39 milioni per la presunta corruzione legata alla vicenda Maugeri e 7,6 per quella del San Raffaele. In totale sono stati calcolati sia gli 8 milioni che avrebbe ricevuto Formigoni sotto forma di benefit, vacanze ai Caraibi, utilizzo di yacht e della famosa villa, sia i soldi che sarebbero finiti nelle tasche degli intermediari e le somme utilizzate per mantenere l’intera rete di società estere servita secondo l’accusa a distrarre e occultare i fondi neri.

«Esisteva una struttura organizzata e permanente – scrive il gup – avente il suo fulcro presso la giunta della regione Lombardia, e in particolare in Roberto Formigoni, volta a trasferire indebitamente e con sorprendete continuità alla Maugeri e al San Raffaele ingenti somme di denaro a titolo di finanziamenti regionali tangibilmente maggiori di quanto sarebbe stato permesso». E ancora: «Una quota (notevole) di tali somme doveva essere drenata verso società straniere e conti riconducibili a Daccò e Antonio Simone i quali per almeno un decennio venivano a essere gestori di un tesoretto che veniva messo a disposizione del presidente Formigoni e del suo entourage».

Secondo l’accusa, insomma, la regione avrebbe trasferito fondi indebiti al San Raffaele e alla Maugeri in cambio di tangenti. Il traffico sarebbe stato gestito da Daccò e Simone che oltre a guadagnarci avrebbero redistribuito il profitto illecito e pagato le presunte «utilità» a Formigoni (vacanze, cene e yacht). Il gup parla dell’esistenza di un «tavolo per la gestione dei finanziamenti della sanità» con cui sarebbero stati in diretto contatto gli intermediari Daccò e Simone. L’ex governatore ha sempre sostenuto che i magistrati non hanno alcuna prova invece nel provvedimento di ieri si legge che il «materiale probatorio e indiziario può definirsi imponente» e sarebbe corroborato dalle dichiarazioni degli indagati (in particolare dei vertici della Maugeri), dalle testimonianze di persone informate sui fatti, oltre che da perquisizioni, rogatorie, indagini bancarie.

Formigoni risponde con supponenza. I conti sequestrati sarebbero vuoti o in rosso, le tre auto sarebbero la sua Alfa Mito, una Panda e una multipla in uso ai suoi collaboratori. E le case? Si tratterebbe solo di un monolocale a San Remo e degli immobili di Lecco ereditati dai genitori insieme ai fratelli. Nessuna villa in Sardegna, quella semmai è di Perego. Lui, povero senatore, è quasi nullatenente.