«Qui a Cosmopolitica si sono viste facce nuove che arrivano da pratiche di autogestione, di occupazione, di conflitto. Il mio auspicio è che questo sia l’avvio di un processo di una sinistra che disobbedisce». Luca Casarini, ’disobbediente’ quindici anni fa, nella tre giorni di Sinistra italiana ha sentito l’aria di Genova 2001.

Disobbedisce a cosa?

A se stessa, alle sue liturgie. La rottamazione ha ormai un’accezione fastidiosamente renziana, ma è vero che per pensare alle riforme vere bisogna intanto essere capaci di riformare se stessi.

Chi vuole rottamare?

Bisogna dare spazio a nuove figure, chi vive la precarietà, il lavoro autonomo, il co-working, il fatto di non avere altra possibilità che occupare una casa, chi non nasce nel 900 del lavoro salariato ma nella fine di quel paradigma e quindi sa leggere il contemporaneo perché lo vive. L’altra cosa a cui disobbedire è l’idea per cui fare un partito significhi chiedere un posto di tribunato in parlamento. Il tema di come utilizzeremo gli spazi che ci conquisteremo anche nei parlamenti è centrale. È una discussione che riguarda anche Podemos, Syriza, la Linke, Bloco de Esquerda. Dobbiamo pensare una rappresentanza per supportare quello che si muove fuori.

Oggi gli eletti della sinistra non dialogano con ’fuori’?

La rappresentanza ha bisogno di un’innovazione. Non vogliamo fare testimonianza, puntiamo al governo, come Podemos. Per questo dobbiamo riflettere: a cosa serve il governo oggi? O il governo apre crepe nel monolite delle politiche di austerity, o non serve.

Tutte le volte che la sinistra va al governo dichiara di volere aprire delle crepe. E se non riusciste a andare al governo?

Il nostro primo obiettivo è ripoliticizzare i conflitti. E la rappresentanza va ripensata, ce lo ha spiegato Luigi Ferrajoli: la sinistra si deve mettere al servizio di una rimovimentazione sociale, non il contrario. Non sono i movimenti che hanno bisogno di rappresentanti, ma i rappresentanti che hanno bisogno di movimenti.

Fin qui non è stato così?

Prima ci sono stati dei tentativi. Stavolta lo faremo in grande.

Quali sono stati i tentativi?

Nel 2001 abbiamo perso un grande treno. Tutti abbiamo partecipato a quel movimento. A Genova dietro gli scudi di plexiglas con me, con Nicola Fratoianni e con tanti che ho incontrato a Cosmopolitica, c’era Pablo Iglesias. Alexis Tsipras non ci è arrivato perché è stato preso a bastonate a Ancona. Eravamo lì tutti. Ma si è persa la grande occasione di pensare a come capitalizzare quella grande spinta al cambiamento.

Perché avete fallito?

Perché ciascuno è rientrato nei suoi schemi. Il partito ha fatto il partito, il movimento il movimento, il sindacato il sindacato. Oggi, a distanza di molti anni, tifiamo tutti Podemos in Spagna, ma Podemos ha avuto alle spalle un grande movimento, gli Indignados, e ha capito cosa era successo. Se anche noi l’avessimo fatto nel 2001 oggi non avremmo i frankenstein alla 5 stelle, né le sinistre che sono andate al governo producendo il topolino del governo Prodi. Oggi è un altro tempo, ma in questa tre giorni ho visto la possibilità di costruire qualcosa che si ponga il problema dell’efficacia. Dobbiamo ragionare sulla disobbedienza come capacità creativa. Anche sul partito: dobbiamo pensare a un partito che oltrepassi se stesso, che inventi delle nuove funzioni per sé.

Cioè? Pensa a un partito senza segretario?

Magari con due, un uomo una donna, oppure un segretario a tempo. Sicuramente penso a un leader che abbia vissuto la stagione di Genova 2001, e che abbia 40 anni e non 80.

È la rivincita di Genova?

Genova tra noi non è una foto-ricordo, ma l’idea di pratiche nuove. Anche nell’inventarci un’irruzione nella scena politico-elettorale di questo paese.

Podemos aveva alle spalle il movimento degli Indignados. Qual è il movimento che avete alle spalle voi?

Non c’è. Per questo dobbiamo più innovativi possibile e contribuire a far ripartire il conflitto sociale, una cosa grande e che parli a tutto il paese. Ci sono una miriade di conflitti diffusi ma dobbiamo convincere un paese intero a rimettersi in marcia.