Luca Casarini ha proposto dalle colonne de Il Riformista di mettere da parte le divisioni sull’invio di armi e organizzare una marcia per la pace a Kiev per fermare le bombe. L’idea circola da giorni nel movimento No War. Casarini la spiega mentre termina i preparativi per la doppia missione di Mediterranea: partenza oggi via terra da Napoli e Bologna verso il confine ucraino, nuove operazioni della Mare Ionio la prossima settimana.

Luca Casarini, Mediterranea Saving Humans

Ha proposto una mobilitazione europea che vada a Kiev a fare da scudo umano, una No Fly Zone dal basso. È una provocazione?

Sì e no. In questi giorni gli editorialisti dei principali quotidiani si accaniscono contro i No War. Credo sia una forma di frustrazione. Dicono che bisogna difendere i nostri valori, la nostra democrazia, ma quando Zelensky chiede la No Fly Zone e ci invita a combattere viene fuori tutta l’ipocrisia dell’invio di armi. Non sono nessuno per dire cosa devono fare gli ucraini, ma penso che noi possiamo fare qualcosa di coraggioso. Allora propongo a questi opinionisti con stivali ed elmetto di fare un’iniziativa politica coraggiosa ma disarmata. Vorrei Gianni Riotta, Antonio Polito, Francesco Merlo alla testa di un grande corteo di italiani ed europei a Kiev.

Vuole passare all’azione per sfidare chi accusa i pacifisti di essere disfattisti e filo-Putin?

Certo. Chi dice che in gioco ci sono democrazia e valori europei non può stare a guardare. Proviamo a fare qualcosa allora. Creiamo una variabile nuova in una storia che sembra già scritta. Viviamo in un mondo dove decidono tutto i tre grandi imperi di Usa, Russia e Cina, ma rimane sempre una variabile inattesa: l’umano. Può cambiare le cose. Io ci credo veramente.

Ha invitato politici e parlamentari a prendere la testa di questa iniziativa. Ma lunedì la Farnesina ha detto No alla partecipazione di 30 deputati e senatori alla missione umanitaria in Ucraina della Comunità Papa Giovanni XXIII. Non si rischia di creare il casus belli per l’allargamento del conflitto?

Non possiamo stare a guardare i civili in trappola. Sta succedendo vicino casa nostra, siamo coinvolti. Dobbiamo provare a proteggere queste persone, a farle scappare. La Farnesina fa la Farnesina. E comunque ha sconsigliato di andare. Non può vietarlo. I parlamentari hanno votato l’invio di armi a gente che sta combattendo per loro. Così è comodo. Invece andiamo insieme a fare qualcosa. Tra l’altro la Farnesina ha detto No ai parlamentari italiani, ma ieri tre premier europei sono andati a Kiev in treno. Certo bisogna rischiare. Quelli che si scatenano contro i pacifisti sono pronti o quando devono mettersi in gioco si imboscano?

Azioni di interposizione nonviolenta sono state fatte in ex Jugoslavia, Uganda, Iraq, Palestina. Ma ogni guerra è una storia a sé. In questa ci sono davvero le condizioni?

Dobbiamo costruirle. Dobbiamo crederci. Dobbiamo rischiare. Basta con questo assurdo scontro tra tifoserie contrapposte. Mi rivolgo al segretario del Pd Enrico Letta: andiamo insieme a Kiev. Penso che Letta non voglia l’allargamento della guerra e sappia che i discorsi di alcuni membri del suo partito sulla No Fly Zone sopra le centrali nucleari siano assurdi. Entrare in guerra con la Russia può portare a milioni di morti. Sono convinto che Letta abbia questa stessa preoccupazione. Allora gli propongo: siamo divisi dall’invio di armi, ma vogliamo tutti che questa guerra si fermi e le persone siano protette. Diciamo che in gioco c’è l’Europa. Allora costruiamola quest’Europa, con un’azione non prevista e non convenzionale. Fuori dal solco del Novecento che, come dice papa Francesco, non ci ha insegnato nulla. Un conto è se partono uomini e donne di buona volontà, come a Sarajevo, un altro se facciamo una grande campagna e portiamo 30, 40, 50 mila europei con in testa parlamentari, segretari di partito, editorialisti e personalità pubbliche. Io sono il primo ad aderire. Loro ci stanno?

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