Gli scalpellini del terzo millennio hanno provveduto da soli, ieri, a rimuovere la scritta in marmo Casapound, abusivamente apposta sulla facciata del palazzo che abusivamente occupano da sedici anni nel centro di Roma. Hanno dovuto farlo perché altrimenti avrebbe provveduto, oggi, il comune, ieri rappresentato davanti alla sede nazionale del movimento di estrema destra direttamente dalla sindaca Virgina Raggi. Che ha lungamente litigato con il vice presidente di CasaPound Andrea Antonini, chiedendo alla fine di togliere anche lo striscione con il quale i «fascisti del terzo millennio» avevano sostituito la scritta rimossa. Per provare, romanamente, a buttarla in caciara: «È questo il problema di Roma», avevano infatti scritto.
«È solo inizio. Ora va sgomberato l’immobile e deve essere restituito alle famiglie che ne hanno davvero diritto. Va ripristinata la legalità. Fino in fondo», ha aggiunto su twitter la sindaca, che era già stata il 25 luglio in via Napoleone III, a due passi alla stazione Termini, per intimare la rimozione della scritta entro dieci giorni. CasaPound mastica amaro e spera nella rivincita quando (appoggiando il candidato della Lega?) sogna di prendersi la città: «Raggi ha ragione. In una città diventata latrina e barzelletta d’Italia, la bellezza di una scritta di marmo perfettamente in linea con lo stile razionalista di un palazzo Anni 30 stona troppo. La togliamo momentaneamente in attesa della rinascita di Roma che avverrò il giorno – ormai prossimo – in cui il flagello talebano della giunta Raggi sarà definitivamente sconfitto e cacciato».
Ma, malgrado l’aiuto di Salvini e del prefetto di Roma che quando si parla di sgomberi in città guardano ovunque tranne che nella direzione del movimento editore del libro del vicepremier, a essere cacciati prima potrebbero essere proprio loro. Non certo per merito del Viminale, ma perché la Corte dei Conti ha chiuso le indagini per il danno erariale procurato dal prolungato «esproprio al contrario» di un immobile dello stato. Chiedendo un risarcimento danni di 4 milioni e 600mila euro a nove dirigenti del l’agenzia del Demanio e del ministero dell’istruzione, proprietario dell’edificio.