Se vi capitasse di voler entrare nel palazzo della Regione Friuli Venezia Giulia, vi trovereste sottoposti ad una sorta di interrogatorio da parte degli addetti alla vigilanza e, dopo un paio di telefonate per verificare che davvero c’è qualcuno dentro che vi conosce e vi aspetta, potreste avviarvi lungo il corridoio non prima, però, di avere lasciato la vostra carta di identità ben custodita dal portiere. Così da sempre. Negli ultimi mesi nessuno, nessuno, entra senza aver prima offerto la fronte al termometro e firmato il modulo di ottima salute.

Ieri mattina invece, mentre era in corso la riunione di una Commissione del Consiglio regionale, ecco arrivare dodici ragazzotti che entrano indisturbati e arrivano dentro l’aula. Megafoni, bandiere: Casa Pound può quello che altri non possono. Muniti di un proclama farneticante contro i migranti, interrompono la seduta e si mettono a declamare: parole di odio e di cieco razzismo, neanche a dirlo. Guardie giurate e commessi non pervenuti. I consiglieri del Pd e pochi altri escono, il consigliere di Open Fvg Furio Honsell chiede a gran voce di far allontanare gli occupanti, parecchi si abbandonano sugli scranni con aria seccata, solo il consigliere leghista Antonio Calligaris si avvicina al manipolo e si mette a discutere. E cosa dice a onor di registratore? «Io sono tra quelli che gli sparerebbe, tranquillamente. Tranquillamente». Ai migranti, s’intende.
Sì, però, non vuole confondersi con questa marmaglia che fa tutto facile e occupa l’aula accusando la Regione, in mano alla Lega, di fare troppo poco per fermare la rotta balcanica. Magari la Regione potesse, ma non può – dice Calligaris – e, poi, non si entra così in una sede istituzionale, le regole vanno rispettate, «facendo queste cose diventate come quelli della Cavarzerani che non rispettano le regole».

Quelli della Cavarzerani? Cosa vuol dire? Il dialogante Calligaris, disarmato suo malgrado, si riferisce, evidentemente, alle manifestazioni di protesta che si sono sviluppate nei giorni scorsi in una ex caserma dell’udinese trasformata in campo di raccolta per migranti, la maggior parte richiedenti asilo. In cinquecento ammassati, manca poco e saranno il doppio della capienza. A metà luglio si scopre che un paio di loro sono positivi al Covid-19 e cosa si fa? Li si isola? Ma no, li si lascia lì, in mezzo agli altri. Però ci si fa carico dei bravi italiani incolpevoli che stanno fuori e si dichiara tutta la caserma «zona rossa»: nessuno può uscire, tutti in quarantena a favor di contagio. E chi se ne frega se magari qualcuno aveva trovato un lavoretto in paese, o cose così. Arriva agosto e, proprio allo scadere della imposta quarantena, saltano fuori altri due positivi.

Che fare? Facile, il sindaco leghista di Udine deve solo reiterare e allunga la quarantena: Cavarzerani zona rossa fino al 15 agosto. I migranti reclusi protestano, hanno paura, si sentono discriminati, sentono che è un’ingiustizia, non pensano di essere animali. Un paio di materassi vanno a fuoco, grida, appelli, rabbia e lacrime. I cancelli sono chiusi, la polizia, fuori, sta a guardare. Un ammiratore di Salvini premier, coordinatore della protezione civile, scrive su facebook «4 taniche di benzina e si accende il forno crematorio così non rompono più» ma finisce sui giornali e dalla sera alla mattina gli tocca cancellare il post. Poi quasi quasi si scusa per «uno sfogo senza pensare». Tranquillamente, anche lui.