Che cos’è un classico? Perché certe opere meritano questo titolo? La maggior parte delle risposte chiama in causa la persistenza dell’opera considerata ‘classica’, tale proprio perché capace di mantenersi canonica nel tempo, senza finire mai di dire quel che ha da dire (come voleva Calvino). Per altri, la categoria implica anche una dimensione socio-culturale: classico, cioè, sarebbe quel che esprime gusti e prospettive delle classi dominanti. Queste risposte hanno però un limite: non spiegano infatti la fortuna di un libro o di un quadro in aree diverse da quelle in cui si svolge la tradizione che le ha prodotte; né chiariscono perché alcune opere diventano dei classici e altre, che pure incarnano gli stessi valori, non ci riescono. Ci sono elementi intrinseci, oltre ai fattori storici, che determinano il successo di un prodotto artistico? Se sì, quali? A simili domande prova a dare una risposta l’ultimo libro di Alberto Casadei, Biologia della letteratura (il Saggiatore, pp. 245,euro 23,00). Da studioso proprio di classici dal Medioevo al Novecento – tra gli altri, Dante, Ariosto, Montale – Casadei riflette da anni sul nesso tra creatività e scienze cognitive, al quale ha dedicato saggi e volumi (come Poesia e ispirazione, Sossella, 2009 e Poetiche della creatività. Letteratura e scienze della mente, Bruno Mondadori, 2011).
Biologia della letteratura, che s’inserisce in modo originale in un filone di studi ora presente anche in Italia (per esempio con i lavori di Michele Cometa, Stefano Calabrese, Mario Barenghi), sviluppa e approfondisce le prospettive elaborate da Casadei nei suoi libri precedenti. Il nuovo saggio completa il percorso proponendo una teoria generale dello stile basata su elementi tanto storico-culturali quanto biologico-cognitivi. Lo stile, precisa Casadei nella Premessa, è il «possibile punto di giunzione, la delicata sinapsi che permette di porre in contatto» i tre fattori che entrano in gioco nella creazione degli oggetti artistici: la biologia (che presiede al funzionamento del corpo umano e alle sue percezioni), l’ambiente e la storia. Proprio la relazione tra biologia e storia preserva la riflessione di Casadei da ogni sospetto di riduzionismo o determinismo fisiologico. Se lo stile, cioè, non può essere più considerato solo come scarto soggettivo da una norma, non è però neanche riducibile a semplice effetto di un processo neurologico.
Anziché subordinare la letteratura alla biologia, il libro vuole far reagire i due àmbiti l’uno con l’altro, mostrando come le «propensioni biologiche» collaborino con l’elaborazione simbolica nella creazione e nella ricezione dell’opera d’arte. Per questo, Biologia della letteratura rappresenta un passo avanti in direzione di un dialogo tra i saperi, che non releghi la cultura umanistica in uno stato di minorità: «Analizzare soprattutto la fase della stilizzazione – scrive Casadei – in una dimensione biologico-cognitiva e insieme storica (nella convinzione che la biologia si estrinseca nella storia, senza essere superata o rimossa), potrebbe contribuire ad aprire una nuova via verso la consilience fra le scienze e le discipline umanistiche». Il processo di stilizzazione si compie quando certi presupposti biologici sono sottoposti a un riuso simbolico; i nuclei di senso che vengono così a crearsi esercitano una forte capacità attrattiva, alla base del successo di un oggetto artistico e della sua promozione a classico. Lo stile stesso assume allora la funzione di «attrattore» (come spiega il secondo capitolo del libro), che orienta la ricezione dell’opera verso quei nuclei o presupposti biologico-cognitivi. Quelli fondamentali sono quattro: l’attenzione/percezione attimale, collegata alla necessità primaria di accorgersi nel minor tempo possibile della presenza di un estraneo; la ritmicità/ricorsività, che probabilmente dipende dalla regolarità del ritmo cardiaco, cui ci abituiamo ancor prima della nascita; la mimesi/simulazione incarnata, che permette di reagire agli stimoli e di sentire empaticamente le emozioni provate da altri; il blending/metaforizzazione, che consiste nel fondere in un’unica immagine o concetto elementi che provengono da campi diversi (un esempio antico è la creazione di idoli teriomorfi, tra i primi esempi di manufatti ‘artistici’). Queste quattro potenzialità intervengono nell’instaurazione dell’opera, favorendo «ipotesi di addensamenti di senso inerenti alle traduzioni di aspetti essenziali per l’esistenza».
Su queste premesse teoriche Casadei costruisce un percorso ricco e suggestivo, seguendo l’evoluzione storica delle forme artistiche (in particolare di quelle letterarie), scandita sì da gradi di complessità crescente, ma sempre orientata su quei nuclei di senso e sulla loro capacità attrattiva. Nella trattazione, trovano così un’originale interpretazione concetti-chiave come l’oscurità nella letteratura (capitolo 3) e, appunto, il valore del ‘classico’ (capitolo 4). Ma anche molte espressioni della cultura contemporanea sono inquadrabili e spiegabili in base alla presenza di attrattori forti; Casadei fa l’esempio delle narrazioni più importanti sulla seconda guerra mondiale (già affrontata dallo studioso in Romanzi di Finisterre, Carocci, 2000), «che evidenziano l’insufficienza dei modelli classici per raccontare quanto era avvenuto, puntando a veicolare, come nucleo di senso fondativo, la credibilità dell’incredibile». Quest’osservazione si legge nel quinto e ultimo capitolo del libro, significativamente intitolato Web-Cloud; qui Casadei prende in esame le condizioni in cui avvengono oggi la produzione e la fruizione dei contenuti, non solo di quelli culturali: «Ogni forma di conoscenza corporea è ora immersa nel Cloud, che mette in contatto il medium-corpo con tutti i nuclei di senso espressi dall’umanità». L’obiettivo, che Biologia della letteratura indica nel finale, sarà perciò quello di comprendere quali nuove potenzialità cognitive discenderanno dall’immersione nel Web-Cloud e quali stili ne permetteranno l’elaborazione artistica.