«Deliberiamo Roma». È il nome della campagna politica che è partita ieri mattina con l’occupazione simbolica di uno dei tantissimi santuari dello spreco e dell’inutilità sparsi nella capitale, l’ex pretura di Via del Governo Vecchio. Sono state presentate le quattro delibere d’iniziativa popolare con le quali decine e decine di movimenti e associazioni, collettivamente, propongono di cambiare radicalmente l’indirizzo dell’attuale amministrazione comunale. Ripubblicizzare il servizio idrico dell’Acea, riconvertire gli immobili abbandonati verso un uso sociale, liberare le politiche di bilancio dai vincoli del patto di stabilità, incrementare gli investimenti nell’istruzione pubblica e definanziare quella privata. Un vero e proprio programma di governo alternativo, per salvaguardare i beni comuni, tutelare i diritti sociali, valorizzare la cultura indipendente, promuovere le nuove economie, garantire lo stato sociale.

E così, a metà mattinata, un migliaio tra militanti, attivisti, famiglie in occupazione, lavoratori immigrati, artisti dei centri di produzione indipendente, striscioni e carrozzine, hanno spiegato nel corso di una conferenza-stampa il senso politico di questa clamorosa iniziativa. E l’hanno fatto tra le piante di fragola, all’interno del cortile del quattrocentesco Palazzo Nardini, sede da fine Seicento del Governatorato pontificio e poi, da fine Ottocento, della pretura cittadina. Un edificio caro alla memoria dei movimenti romani, perché occupato negli anni settanta dai collettivi femministi, che lo trasformarono nella Casa delle donne, prima esperienza del genere in Italia.

Insomma un’irruzione allegra e combattiva nel nucleo centrale della città prima medievale e poi rinascimentale, sotto la torre dell’Orologio del Borromini, e a due passi dalla statua del Pasquino, baricentro irriverente del popolo romano. Il prestigioso immobile è ora vuoto e inutilizzato, come tantissimi altri a Roma, storici e meno storici. A testimonianza della dissipazione del patrimonio pubblico, del disprezzo verso i nostri beni comuni.
Dal palazzo di Via del Governo Vecchio, dopo una vivace assemblea, gli occupanti si sono recati in Piazza del Campidoglio, sede degli uffici centrali del Comune di Roma, dove hanno depositato le quattro delibere. E da domani comincerà la raccolta delle firme necessarie (cinquemila) per consentire che vengano discusse e (speriamo) approvate dal Consiglio comunale.

Nella loro articolazione tematica, le quattro delibere delineano un programma alternativo, un quadro di politica amministrativa diverso dall’approccio fin qui tenuto dalla giunta Marino. Che, malgrado l’imbarazzante immobilismo, lascia comunque trasparire una sostanziale subordinazione alle logiche privatistiche dettate dal governo Renzi, a sua volta esecutore degli indirizzi europei di smantellamento d’ogni funzione pubblica.

Per il sindaco può essere un’occasione per svincolarsi dalle gabbie del patto di stabilità, contrastare le pressioni speculative e finalmente corrispondere ai bisogni della città. Se venissero approvate, le delibere consentirebbero di offrire finalmente uno sbocco positivo all’acuta e ormai cronicizzata emergenza alloggiativa, di concretizzare l’esito del referendum sull’acqua, di sviluppare politiche di welfare finalmente adeguate alle esigenze cittadine, rilanciare gli investimenti per riqualificare e rigenerare i tessuti urbanistici, riaccendere la vita culturale in città, salvaguardare la scuola pubblica dall’incipiente declino in cui versa.

Ma al di là del loro esito istituzionale, le delibere stanno già diventando una formidabile opportunità per i movimenti romani, che potrebbero ritrovarsi finalmente uniti in una battaglia per l’autogoverno e per la riappropriazione collettiva dei beni comuni in città.