È durato tre ore l’incontro che il direttivo della Casa internazionale delle Donne di Roma ha avuto ieri con il Comune. Un appuntamento atteso come ulteriore passaggio della trattativa per scongiurare lo sfratto dai locali di Via della Lungara. Ipotesi più che plausibile da quando, il 6 novembre, era stata recapitata una comunicazione ufficiale che chiedeva la «morosità accumulata» (computata nell’ordine degli 833 mila euro). Se lo sgombero pare sia una eventualità congelata dalla ripresa del dialogo tra la Casa e la giunta capitolina, il confronto avvenuto ieri pone delle questioni ancora insolute.

ALLA PRESENZA delle assessore Laura Baldassarre, Rosalia Alba Castiglione e Flavia Marzano, il direttivo della Casa ha voluto discutere i propri conti sulle spese sostenute in questi anni, con la speranza che possano andare a scomputo del debito; la cifra, calcolata intorno ai 500 mila euro, è andata infatti a coprire alcune latitanze comunali (l’agibilità dei locali, il restauro di una sua parte consistente, la manutenzione costante e altre cose di ordinaria e straordinaria urgenza). Riservandosi una valutazione più puntuale, entro gennaio è stata richiesta una memoria più dettagliata (maggiore documentazione) della cifra sopraindicata allegando una controproposta risolutiva per uscire da questa situazione. La convenzione scade nel 2021 e in questi tre anni scarsi che rimangono, se non prorogano permettendo di spalmare in più anni l’ammontare del debito richiesto, c’è un’evidente impossibilità anche a rateizzare, visto che il problema è proprio questo: che il Comune i soldi li pretende. Certo riconoscendo il mezzo milione di euro già spesi in questi anni forse si potrebbe immaginare almeno una restituzione più gestibile.
È tuttavia una logica contabile che continua a non sostanziarsi in uno sforzo di comprensione di complessità politica della vicenda. C’è grande cortesia, dunque ancora una volta non si può parlare di chiusura, tanto che tra Natale e capodanno le assessore andranno in visita proprio nei locali di via della Lungara per sincerarsi degli spazi che, se sono noti a migliaia di donne sparse non solo a Roma ma nel mondo, non sono ben conosciuti.

NIENTE DI NUOVO sotto il sole insomma, tranne un elemento, o meglio un suggerimento: quello di lavorare di sponda, insieme nell’affidamento di alcune attività e progetti (anche europei con capofila il Comune) proprio con la Casa; un investimento di fiducia che però non è chiaro come dovrebbe svolgersi. Si tratterebbe infatti di servizi ulteriori (per esempio sportello antiviolenza, accoglienza migranti, partecipazione a Roma facile eccetera) che non è stato detto se andrebbero a «scontare» il debito oppure verrebbero pagati per consentire la restituzione con maggiore agio. Resta il fatto che bisognerebbe dotarsi di una rete di ulteriori attori, per esempio la Regione Lazio che sarebbe il caso intervenisse a dire la propria, così come a livello nazionale qualcuno o qualcuna potesse avviare un ragionamento sul pericolo di ridurre esperienze come quelle della Casa internazionale delle Donne di Roma a pura ipotesi reddituale; solo di qualche giorno fa la notizia che anche quella di Lucha y Siesta, sempre a Roma, rischia di perdere i locali. Ha del surreale l’idea che sul decesso (che poi è un eradicamento) dell’albero di Natale «Spelacchio» di piazza Venezia vi sia stato uno zelo inenarrabile con tanto di apertura dichiarata di indagini eccetera e per una faccenda cruciale che coinvolge migliaia di donne – e non solo – a Roma e nel mondo, non vi sia stata neppure mezza parola di seria preoccupazione.

SARÀ DAVVERO IL CASO che le cose vadano per il verso giusto, non sono le radici degli alberi tagliati sciattamente per il personale diletto cittadino che impensieriscono, seppure siano una interessante rappresentazione simbolica, bensì la storia politica che si pretende di gettare al macero con una noncuranza che atterrisce.