Potrebbe essere «La voce e il fenomeno» il sottotitolo della bella mostra su Enrico Caruso allestita al MANN di Napoli. Quello che ci spinge a scomodare il titolo di uno dei primi testi fondamentali di Jacques Derrida non è solo un suggestivo giochetto linguistico ma la pertinenza di alcuni illuminanti passaggi della riflessione del filosofo francese (che prende in esame «il problema del segno nella fenomenologia di Husserl») al grande tenore. Per rafforzare la duplicità semantica del termine «fenomeno» (cioè in questo caso un uomo dotato di un talento fuori del comune ma che ha a che fare anche con la fenomenologia) riportiamo quanto scrive Derrida a un certo punto: «Questa prospettiva è segnata dal farsi carico dell’impostazione metafisico-musicale della teoria della voce, propria di tutta la tradizione occidentale: vige in essa una netta dicotomia tra voce parlata e voce cantata, la prima maggiormente rivolta alla materialità, al corporeo, la seconda più spirituale, come in odor di santità. Andando all’indietro, si ravvisa l’origine di questa dicotomia nell’opposizione di suono e voce, che sviluppa due rispettive catene: da un lato corporeità, passività, esteriorità, mortalità, dall’altro spiritualità, attività, interiorità ed immortalità».

Nel caso di Caruso questa distinzione tra voce parlata e voce cantata, tra suono e voce, tra la mortalità dell’uomo e l’immortalità dell’artista si percepisce sonoramente e visivamente attraversando la mostra «Enrico Caruso – Da Napoli a New York» inaugurata a dicembre poco prima di Natale al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e visitabile fino al 22 aprile.

L’evento, progettato e curato da Giuliana Muscio, docente universitaria, brillante studiosa del tenore partenopeo e più in generale, del contributo degli artisti italiani al mondo dello spettacolo americano, conclude le celebrazioni per il centenario dalla scomparsa dell’artista, dopo che il 2 agosto dello scorso anno – proprio il giorno in cui cento anni fa in una suite del grand hotel Vesuvio, moriva Enrico Caruso – era stata inaugurata nella sua casa natale, Via Santi Giovanni e Paolo,7 un quartiere popolare dietro Piazza Carlo III, un Museo dedicato al più grande tenore di tutti i tempi con la cura e la direzione di Gaetano Bonelli e il teatro della Canzone napoletana Trianon Viviani ospitava una serata/evento dedicata al grande cantante con musica, foto, proiezioni e racconti sui suoi amori e dolori.

La mostra è realizzata da Fondazione Campania dei Festival e Fondazione Film Commission Regione Campania, con il sostegno della Regione Campania e in collaborazione con il MANN e con l’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi. Il percorso storico-teorico si basa su una documentazione quanto mai ricca (caratteristica dell’itinerario di visita è proporre un approccio rigoroso dal punto di vista storico e intermediale sotto l’aspetto comunicativo): oltre 250 immagini fotografiche, provenienti dal Metropolitan Opera Archive di New York, dalla Caruso Collection presso il Peabody Institute (Johns Hopkins) di Baltimora e dal museo Enrico Caruso di Villa Bellosguardo a Lastra a Signa, materiale audiovisivo d’epoca e cinegiornali, forniti per l’occasione dagli archivi americani e dal fondo Setti della Fondazione Ansaldo, ma anche registrazioni audio originali della produzione discografica.

L’esposizione, che si avvale della consulenza musicale di Simona Frasca, musicologa e docente dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, mette a fuoco con uno sguardo nuovo la figura di Caruso, prima star mediatica moderna e rappresentante dell’emigrazione italiana, capace di conservare e innovare le tradizioni dello spettacolo con un impatto significativo sui media statunitensi.

L’allestimento utilizza un equilibrato e funzionale rapporto tra apparato informativo e sistemi multimediali il cui obiettivo è veicolare la cospicua quantità dei documenti e rendere la fruizione agile ed esaustiva. La disposizione delle immagini è lineare, quasi fosse una mostra fotografica, ma con l’uso della multimedialità e una postazione con 12 auricolari per la parte musicale.
La mostra si snoda attraverso varie sezioni che rendono corposi i temi dell’intelligenza mediatica di Caruso e del contributo italiano alla cultura dello spettacolo americana, intrecciandoli, sottolineando i caratteri di italianità (e napoletanità) del ruolo del tenore nello sviluppo di diversi aspetti della moderna industria dello spettacolo, dall’industria discografica allo star system, in interazione con gli artisti del teatro italiano degli emigrati. E anche il rapporto costante con la comunità e la musica napoletana.

E così risalta il rapporto di Caruso con la stampa. I giornali di tutto il mondo hanno dedicato grande spazio ai suoi successi canori, alle sue turné, alla turbolenta vita sentimentale e al suo humor. Oltre alle foto in cui scherza con chi lo ritrae, il suo humor intelligente si manifesta nella selezione delle sue caricature che pubblicava su diversi giornali incluso un set di foto che lo mostrano mentre le disegna e una immagine delle statuine di argilla che plasmava per gli amici, Eccezionalmente per l’epoca, la stampa penetra anche nella sua sfera privata, raccontandone la quotidianità e la vita in famiglia, sia coi figli Enrico e Rodolfo, avuti da Ada Giachetti, che con la moglie americana, Dorothy Benjamin, e la figlia Gloria. Alcune delle foto di famiglia, inedite, offrono un’immagine calda, di un Caruso domestico.

Poi viene approfondita l’attività discografica, dai primi rulli incisi a Milano con la sua voce alle esibizioni al Metropolitan tempio operistico newyorkese. Una panoramica di immagini racconta le sue performances al Met, nelle 50 opere diverse che interpreta in ognuna delle 18 stagioni che lo impegnano in quel teatro, risarcendolo della traumatica esperienza al San Carlo, per cui non aveva più voluto cantare a Napoli.

Uno spazio particolare è dedicato al rapporto con il cinema, a cominciare dalle inedite foto pubblicitarie dei due film muti che Caruso interpretò come attore nel 1918, My Cousin e The Splendid Romance. Questo materiale racconta la misteriosa vicenda produttiva dei due film, l’uno restaurato di recente dopo una lunga e inspiegabile marginalizzazione, e l’altro perduto.

Anche se la recitazione di Caruso è moderna e disinvolta e la critica gli riconosce grandi doti di attore, questo film non compare nelle storie del cinema e nelle biografie, come se la sua memoria fosse stata cancellata. Contrariamente ad altre fonti si può pensare che Caruso, insoddisfatto del risultato e su pressione dell’aristocratica Dorothy, ne abbia bloccato la circolazione.

Un’ultima sezione riguarda la prima guerra mondiale, quando Caruso si impegnò generosamente nella vendita dei buoni di guerra e nella raccolta di fondi per la Croce Rossa Italiana e americana. Lo spartito della canzone (Liberty Forever) che il tenore compose in questa occasione e il cinegiornale di una delle sue esibizioni davanti a centinaia di migliaia di persone documentano questo momento identitario importante perché Caruso si propone come italiano ma riconosce, cantando Over There, la relazione che è andato maturando con il paese d’accoglienza.

Nell’ambito della mostra c’è anche la possibilità di vedere (tre proiezioni al giorno) il documentario Enrico Caruso: The Greatest Singer in the World, realizzato dalla stessa Giuliana Muscio e prodotto dalla Direzione Generale per gli italiani all’estero del Ministero degli Affari Esteri. Il lavoro, attraverso materiali inediti, racconta la carriera americana di Caruso e la modernità del suo rapporto coi media, sottolineando il fondamentale contributo dei performers italiani nello sviluppo dell’industria dello spettacolo negli Stati Uniti. Il documentario avrà una proiezione ufficiale aperta al pubblico il 4 marzo (16,30) nell’Auditorium del Museo. A corredo della mostra anche un catalogo (edito da «ad est dell’equatore»), documentato e ricco di belle foto.