Quando la letteratura ancora c’era e gli scrittori esistevano! E la corrispondenza «raccontava» i giorni… Si dedicava allora Gadda, nel 1938, alla stesura del «tratto sulle ville», celeberrimo «passo» della Cognizione del dolore. Stava ad Arenzano, paying guest. Ospite a pensione. Formula nobilitante adottata lungo gli anni trenta da Lucia Rodocanachi per amici e letterati, accolti a Villa Desinge, casetta rosa nel più voluttuosamente insensato giardino del mondo. La naturalità su una fascia erbosa, all’ombra di ulivi centenari. Per caso: «…Come stanno le tue dionee pigliamosche?» si informava Montale da Firenze, il 22 giugno del ’32.
Scriveva dunque un furioso Gadda: «Di ville, di ville!; di villette otto locali doppi servizi… orto, frutteto, garage, portineria, tennis, acqua potabile, vasca pozzonero oltre settecento ettolitri di ville! di villule!, di villoni ripieni, di villette isolate, di ville doppie, di case villerecce, di ville rustiche, di rustici delle ville, gli architetti pastrufaziani avevano ingioiellato, poco a poco un po’ tutti, i vaghissimi e placidi colli digradano dolcemente … Della gran parte di quelle ville, quando venivan fuori più ‘civettuole’ che mai dalle robinie, o dal ridondante fogliame…».
Tempo dopo, rileggendo il proprio testo pubblicato sul numero cinque di «Letteratura», rivista diretta da Alessandro Bonsanti, sul volto dell’ingegnere doveva essere avvampata una colpevole porpora. Da imperterrito sospettoso pensò d’aver concepito il passo della «scellerata cognizione» con una effrazione della creatività, ispirandosi, forse non troppo inconsciamente, proprio dove era stato ospite, in quella casa progettata dal marito di Lucia Rodocanachi, pittore di certa notorietà. Anche design. Orgoglioso della propria razionalista villetta. Ovviamente mai prevedendo che l’opera sua, dalle ricercate linearità, potesse mutare in modello di furia scrittoria. Divenire lo spunto di una pagina letteraria.
Dopo essersi riletto, un angosciato Gadda si affrettò a inviare alla sua ospite una compunta lettera, cospargendosi il capo di cenere. «M’è venuto in mente (e mi scusi!) che il tratto sulle ‘ville’, nel primo pezzo del mio racconto, possa esserle spiaciuto come la moglie d’un ottimo architetto, oltre che pittore: voglio assolutamente che Lei sappia che la crisi ‘villa’, è una mia vecchissima crisi, terribile; che per la casa di Longone non ho avuto giovinezza, che voglio vendicarmi di quanto ho patito: ho esteso la rabbia ad alcuni sproloqui novecentistici, ma non è quello il centro del mio bersaglio: il mio bersaglio è la stupidità: non le cose logiche e ben fatte. E, se avessi dei soldi, mi farei una casa press’a poco come la loro». Più tardi, tornato ad Arenzano in cerca di perdono, offrì contrito a Lucia qual pegno – «Confiteor, non lo farò più» – lo strumento con cui aveva compiuto il misfatto: una stilografica Omas in forma di siluro, con il pennino, guizzo di stiletto, semioccultato dalla guaina nera. Un’arma da delitti cartacei. D’altra parte, accettando di passare qualche giorno dai Rodocanachi, l’ingegnere s’era preoccupato di preavvertire che c’era l’aggravante dei solleciti del suo grande estimatore e amico affinché inviasse i testi concordati per «Letteratura» – «…le minacce di Bonsanti non mi lasciano in pace… i rimbrotti e le recriminazioni di Bonsanti… – e “devo” assolutamente, “devo” scrivere… E un ospite che scrive non è un ospite decente».
Le lettere raccontano la trama dei giorni. Così oggi, a parte la storia del marginale groviglio sulla nascita di alcune pagine della Cognizione del dolore, la vita di quei tempi affiora da «Sono il pero e la zucca di me stesso» Carteggio 1930-1970 tra Alessandro Bonsanti e Carlo Emilio Gadda, a cura di Roberta Colbertaldo con testi di Gloria Manghetti e Sandra Bonsanti (Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux /Leo S. Olschki, pp. XLV-344, € 35,00): radiografia di un’età quando ancora esisteva la letteratura e gli scrittori erano scrittori. Clima che avrebbe consentito a Carlo Bo di declinarlo con il suo celebre saggio Letteratura come vita pubblicato nel 1938 sulla rivista «Il Frontespizio».
Bonsanti e Gadda si erano conosciuti nell’ambito di «Solaria», la rivista che aveva aggregato una nuova generazione di letterati con l’aspirazione di ritrovare lo spirito intransigente di Piero Gobetti: un impegno ideale sul ruolo della letteratura nella società contemporanea: i solariani eran giovani speranzosi – lasciare al mondo una traccia perché anch’io sia stato – i quali, individualmente e a vario titolo, avevano incrociato Gobetti: Eugenio Montale, Leone Ginzburg, Aldo Garosci, Guglielmo Alberti, Giacomo Debenedetti, Mario Gromo, Umberto Morra di Lavriano e Sergio Solmi. A questi si aggregarono Bonaventura Tecchi, Arturo Loria, Alessandro Bonsanti. Tra i collaboratori della rivista, in posizione problematica, comparve Gadda, uno scrittore, ancora imprevedibilmente, che avrebbe segnato la narrativa del Novecento attraverso l’impasto dei linguaggi e il ragionato stravolgimento delle strutture tradizionali del romanzo. Bonsanti aveva però còlto subito il senso del sontuoso e innovativo stile di Gadda. Promosse nelle edizioni di «Solaria» la pubblicazione dei suoi primi libri – La Madonna dei filosofi e Il castello di Udine –, raccolte di testi fin a quel punto sparsi.
Nel corso dei quarant’anni di amicizia Gadda e Bonsanti si scambiano diverse centinaia di lettere. Le tante, pubblicate nell’epistolario, che vanno dal ’30 al ’43 sono soltanto di Bonsanti, le corrispettive di Gadda essendo perdute. L’intera corrispondenza di Bonsanti tra le due guerre, compreso ovviamente quanto inviatogli da Gadda, fu distrutta dal destinatario nel settembre 1943, durante l’occupazione tedesca, nel timore di una perquisizione. Lettere scomparse che avrebbero potuto far affiorare clima e collaboratori attorno a Bonsanti e alla rivista «Letteratura»; e per Gadda, una sorta di autobiografia negli anni in cui si stava affermando la «sua maniera», il suo inconfondibile stile scrittorio. Attraverso le lettere del solo Bonsanti, «Caro Carlo…» in forma di radiografia au contraire, la personalità di Gadda tuttavia, qual «corrispondente fantasmatico», emerge sul proscenio nella ideale messa in scena della «società letteraria» del tempo, anche se, alla continua ricerca del personale angolo in ombra, conoscendo tutti, Gadda quel mondo lo viveva da protagonista con ironica e cerimoniosa gentilezza: una impropria biografia gaddiana in trama, attraverso le lettere di un amico e grande estimatore quale «il tiranno» Bonsanti che sollecita «io finisca e gli consegni puntate di un racconto lungo…», come Gadda confessa in una lettera a Lucia Rodocanachi mettendo in piazza «l’affabile disinvoltura di Bonsanti, un vero negriero, faccia di capitano che esercita la tratta dei bianchi…». Gadda recrimina, quasi che scrivere fosse a lui imposto dal cinismo del proprio destino. Ma a un tempo, senza dichiararlo, esibisce l’orgogliosa consapevolezza della propria rarità letteraria.
Tra le missive di Gadda a Bonsanti salvate e pubblicate nella ideale «seconda» parte, l’epistolario parte con la lettera del 28 agosto 1944 da Roma, Pensione Fabrello. Lasciata Firenze, lo scrittore si è trasferito nella capitale «dopo una incredibile odissea di 10 giorni». Vive nel terrore della miseria: «ho riserve di denaro per 20 giorni…». Continua la rappresentazione della propria inadeguatezza all’esistente. Il 16 ottobre, datando ancora dalla Pensione Fabrello, egli invia a Bonsanti una lunghissima lettera «romana» in cui racconta «della vita incredibilmente cara, pasti in bettolacce ed elenchi con prezzi di cibarie…». Poi, mutando scenario: «Nelle lettere c’è molto fermento, molta iniziativa… Io ho visto e vedo Baldini padre e figlio, Bellonci e signora, Bontempelli, Piovene, Falqui e Gianna Manzini, Paolo Monelli epurato, Petroni, Irene Brin e marito editore (…), Pratolini Vasco e Bernari (…) Calamandrei pezzo grosso partigiano e ora comunista, Savinio, De Benedetti Giacomo, non ancora Moravia né i Martinelli che cercherò. Vedrò Palazzeschi, spero. Ho veduto la figlia di Croce, che dirige “Aretusa”. Tutti mi sono addosso e dovrei avere cento cervelli per contentare tutti (…) Per te e per Montale ci sarebbe da fare, poiché siete desiderati…». Non lo scrive ma percepisce la sua ascesa letteraria. Da tempo è nella considerazione degli editori. Già lo aveva confessato poco tempo prima: «Ho in lavoro tre volumi: per Einaudi, Le Monnier, Parenti per i quali avrò un periodo del parto e del puerperio».
Per l’inquieto Gadda, mentre il paese è preso dall’entusiasmo della rinascita del dopoguerra, cambia fortunatamente il vento. Viene assunto alla RAI e pubblica con successo il libro che gli darà notorietà, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Non peregrina più per pensioni e camere d’affitto, si stabilisce finalmente in una sua casa. Con Bonsanti il carteggio prosegue. Informa l’antico amico di tutte le oscillazioni della sua esistenza: da via Blumenstihl nel luglio 1957 scrive al carissimo Sandro: «La mia salute non va bene (…) Il cuore peggiora lentamente e pavento già il prossimo inverno e le sofferenze che mi porterà: dovrei cambiar casa, per riduzione di bilancio e per andare in un luogo meno periferico: ma non so se ce la farò». Gadda è uno scrittore affermato. Continua la fedele consuetudine con Sandro. Il 12 gennaio 1958, al termine di una lunghissima lettera si scusa: «…ma ho voluto trascorrere un’ora con te, ed esprimerti la mia riconoscenza, e darti qualche notizia. La mia biografia è squallida: e priva ormai di ogni contenuto che non sia lo scorrimento della penna sul foglio, o la lettura. Je n’ai pas lu tous les livres! Molti mi rimangono da leggere, vergognosamente».