L’impegno è pubblico e netto: «Non c’è e non c’è mai stato alcun rischio prescrizione per il processo sul crollo del ponte Morandi». La ministra della giustizia Marta Cartabia è andata a Genova, nel giorno del terzo anniversario della strage, a dirlo dal palco. Ha difeso la sua riforma del processo penale che, secondo alcuni, avrebbe avuto come effetto collaterale quello di stroncare la ricerca dei colpevoli del crollo del ponte. Ha detto anzi che «bastava guardare con un po’ più di onestà intellettuale alla riforma per non generare un così grande turbamento in chi ha già un dolore così grande». Poi ha incontrato il comitato dei familiari delle vittime. Che al termine ha espresso soddisfazione: «La ministra ha dimostrato che le sue non erano parole di circostanza. Ci ha rassicurato appieno sulla riforma per quanto riguarda il nostro caso e i processi futuri. Noi continueremo a vigilare», ha detto la presidente del comitato, Egle Possetti. Intanto anche l’ex procuratore di Genova Francesco Cozzi, che a luglio ha firmato le richieste di rinvio a giudizio per il disastro del 14 agosto 2018 ed è andato in pensione, ha spiegato che «non ci sarà alcuna prescrizione, salvo che per i reati minori. Per quelli più gravi i termini sono molto avanti e credo che i giudici sapranno giudicare in tempi ragionevoli».

Non tutto, dunque, si salverà dalla prescrizione. Alcuni reati, le omissioni di atti d’ufficio e i falsi a carico degli ex dirigenti di Autostrade ed ex funzionari del ministero dei trasporti, per essere stati consumati anni prima avevano una scadenza ravvicinata già al momento del crollo. Dei cinque o sei anni di tempo utile, tre sono serviti solo per le indagini dunque al massimo nel 2024 andranno prescritti. Diverso il discorso per i reati gravi come l’omicidio colposo plurimo aggravato che (a seconda degli imputati) si prescriverà tra il 2026 e il 2033, data utile anche per arrivare a sentenza per il più grave reato di disastro.
Attaccando chi ha ingenerato la paura di un colpo di spugna generalizzato – al quale ha mostrato di credere anche Giuseppe Conte nei giorni caldi della trattativa sulla riforma – Cartabia ha detto che «non serve essere un giurista per verificare che si tratta di una riforma che si applica ai reati successivi al primo gennaio 2020». Dunque il ponte Morandi è escluso. Ciò non toglie che il rischio prescrizione possa esistere – e come visto è concreto per i reati minori – anche a prescindere dalla legge in via di approvazione.

C’è un’ulteriore preoccupazione dei familiari delle vittime: che la norma sulla improcedibilità, quella che a regime estinguerà i processi in appello dopo due anni e in Cassazione dopo uno, possa trovare applicazione retroattiva. Trattandosi di norma favorevole al reo le difese chiederanno, anche alla Corte costituzionale, di applicarla anche ai reati precedenti, appunto il Morandi. L’improcedibilità è però una norma procedurale, non sostanziale, per la quale non vale questa regola e la distinzione è sempre stata netta. Ribadita recentemente dalla Corte costituzionale a proposito della sospensione dei processi per Covid.

Un terzo problema ha che vedere con l’impegno del comitato Morandi perché anche gli altri processi e tutti i delitti contro l’incolumità pubblica possano arrivare a sentenza definitiva. Impegno che aveva prodotto anche un ordine del giorno in coda all’approvazione della riforma del processo penale, respinto. Secondo i familiari delle vittime di Genova il meccanismo previsto dalla riforma nei casi più complessi di mafia e terrorismo per rinviare la improcedibilità, e dunque la fine del processo, andrebbe esteso ai reati contro l’incolumità pubblica e ambientali. Ma la ministra è contraria ad allungare l’elenco. Al comitato ha garantito che la sua riforma serve ad assicurare «un accertamento tempestivo delle responsabilità» e non «a stroncare il lavoro dei giudici». Con una promessa: «L’improcedibilità, che tanta preoccupazione ha destato, è solo un’extrema ratio».