Per ritrarre la prismatica musica di Franco D’Andrea – pianista, compositore, didatta – la Parco della Musica Records ha realizzato il triplo cd Three Concerts. Live at the Auditorium Parco della Musica. Il tutto, in realtà, è nato dalla «carta bianca» che l’istituzione sonora capitolina ha offerto al jazzista meranese nella stagione 2013-’14. Tre concerti di quella serie hanno visto nel settembre scorso la luce in veste discografica, restituendo la complessità dell’artista nella basilare dimensione «live» e in tre proiezioni diverse della sua poetica. Gli album sono, rispettivamente, dedicati al Sextet, al trio inedito (e progetto speciale) con Dave Douglas e Han Bennink, al piano solo. Unirli in un unico cofanetto non vuol dire, quindi, fare un semplice lavoro di assemblaggio: si tratta, invece, di gettare luce sulla ricca, rigorosa e creativa personalità artistica di D’Andrea, jazzista che dedica tempo allo studio ed alla progettazione ma che cerca (e trova) la sua dimensione ideale nel vivo dei concerti.

Il sestetto esiste da anni e vede, oltre al leader, Mauro Ottolini (trombone), Andrea Ayassot (sax soprano ed alto), Daniele D’Agaro(clarinetto), Aldo Mella (contrabbasso) e Zeno De Rossi (batteria). Il brillante gruppo ha sviluppato un formidabile interplay che combina creazioni collettive estemporanee, brani di D’Andrea e – in questo caso – alcune composizioni di Thelonious Monk. Colpisce sempre la libertà del sestetto quanto il suo «naturale» confluire verso pagine strutturate, la sua tessitura timbrica (una via di mezzo tra la front-line di New Orleans ed un gruppo cool), la capacità di lavorare per «strati stilistici» compresenti, la fertilità di quelle aree di transizione in cui i musicisti sperimentano prima di imboccare sentieri conosciuti.

Ancor più avventuroso (o almeno imprevedibile) il trio con due fuoriclasse quali il trombettista americano Dave Douglas ed il batterista-performer olandese Han Bennink. Anche in questo caso è sempre Franco D’Andrea ad aprire piste ed indicare vie, cogliendo e stimolando le reazioni dei suoi eccellenti partner. Lennie Tristano (quello minimalista ed ossessivo di Turkish Mambo), Duke Ellington, Charlie Sheavers, Nick La Rocca si affacciano tra i titoli del lungo fluire concertistico ma a connetterli ci sono brani soprattutto del pianista e del batterista. Non c’è, però, aria di jam-session ma un lavoro di rilettura del repertorio che lo attualizza, drammatizza e sdrammatizza con maestria, dimostrando quanto metabolizzabile e ricreabile sia il linguaggio del jazz (si ascolti la sequenza Clusters n.4/Tiger Rag/M3/Caravan).

Al piano-solo Franco D’Andrea si dedica da decenni ed è un terreno dove confluiscono le sue ricerche: le esperienze con la musica contemporanea e seriale, lo studio di un ampio patrimonio jazzistico (dalle origini all’avanguardia), l’interesse per i ritmi africani, il lavoro sulle aree intervallari generatrici di improvvisazioni. Il tutto si coagula in ampie medley dove c’è posto per Gershwin, l’amato Monk, Coltrane, Morton, Tristano… Un pantheon di artisti-ispiratori i cui brani sono tessuto vivo sotto le mani di D’Andrea, capaci di evocare, accarezzare, sviscerare, fondere e connettere, rivitalizzare, riappropriare, risignificare.