Di solito, quando si hanno trent’anni non si pensa a quando si andrà in pensione perché si ha altro per la testa. Per molti trentenni italiani, poi, c’è prima da risolvere il problema di trovare lavoro, figuriamoci quello del riposo di vecchiaia. Però, se consideriamo la fatica di cercare, adattarsi, sperare in una certa stabilità, adeguarsi a lavori demansionanti, sopportare paghe sempre meno dignitose, l’ansia e la frustrazione che ne derivano sono già un lavoro stressantissimo che meriterebbe un compenso. Se da una parte ho sentito datori che si lamentano di quanto sia difficile trovare i candidati giusti perché troppi giovani sono arroganti, pretenziosi e non hanno l’umiltà di imparare o la voglia di sacrificarsi, dall’altra conosco giovani ingegneri anche laureati con lode che lavorano da alcuni anni e sono pagati con contratti da operaio specializzato e anche meno. Senza nulla togliere ai gloriosi operai che fanno i salti mortali per arrivare a fine mese, mi chiedo come si faccia poi a stupirsi se i giovani emigrano o a dire che certe lauree garantiscono luminosi avveniri. C’è qualcosa che non va nel sistema o nella comunicazione o in tutti e due.

Tornando alle pensioni, si sa che saranno adeguate alle aspettative di vita che in Italia dopo i 65 anni sono, per ora, di 18,9 anni per gli uomini e 22,2 per le donne. Siccome si calcola che la sostenibilità del sistema pensionistico regge se dopo la pensione si vive in media 18 anni, non si sa bene se fare gli scongiuri o adottare il carpe diem. Considerando l’andazzo delle energie e degli acciacchi, ho sempre pensato che aspettare la pensione per godere di una delle cose più preziose che abbiamo, il tempo, è una vera ingiustizia. In un sistema ideale, sarebbe bello poter godere di anni sabbatici usando in anticipo dei periodi di pensione. Faccio qualche esempio. Avere qualche mese a 35, 40 o 45 anni per tornare a studiare, viaggiare, aggiornarsi, stare con i figli, fare volontariato o qualunque cosa sia utile a sé o agli altri sarebbe molto più proficuo che dover aspettare di avere i capelli grigi, anche perché certe cose vengono meglio e più facili prima che dopo. E invece no, il sistema ci dice che bisogna rimandare, posticipare e poi, molto avanti, riposare. So di una multinazionale di consulenza di capitali, imprese e finanza che punta sui giovani nel seguente modo. Li carica di aspettative e richieste, li paga leggermente meglio degli altri e per motivarli a restare a lavorare fino alle dieci e oltre di sera dà loro un buono da 100 euro da spendere per la cena in un ristorante di lusso sotto l’ufficio. Il risultato è che nessuno di loro ha più vita privata, fa sport, vede la fidanzata o gli amici e scannano il loro tempo sperando un giorno di avere una promozione e fare carriera.

L’altro effetto collaterale è che gli si alzerà il colesterolo, metteranno su pancia, perderanno i capelli prima del tempo, per non parlare di tutti gli altri effetti psicosomatici e non. Mi rendo conto che se vai a proporre a gente così il periodo sabbatico come pre-pensione ti ridono in faccia, però non posso non domandarmi che senso ha tutto ciò, o meglio se questo sia l’unico senso che si può dare alla vita che è una, mica mille. Poi possono anche dirci che siamo nell’era delle pantere grigie, orribile definizione, e che a 70 anni puoi saltare come a 30, e in certi casi è quasi vero o possibile. Ma prima di crederci e fidarci ricordiamoci di quel numero che scatta dopo i 65, 18, e suggeriamo ai nostri figli di tirar fuori quello slogan, e magari anche lo spirito, caro ai loro coetanei del ’68 e che diceva «Vogliamo tutto e subito».

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