«L’occupazione militare israeliana ha mille facce – dice Maurizio Musolino, giornalista e uno dei responsabili del Comitato per non dimenticare Sabra e Shatila -, ha mille sfumature, che si incuneano nella quotidianità della vita rendendola disumana. L’occupazione non è mai un qualcosa di astratto, di indefinito, ma si sostanzia con soprusi e privazioni, con l’obiettivo di spezzare la resistenza e la volontà del popolo che la subisce». Consapevoli del peso dell’occupazione, coscienti che le principali vittime della Nakba palestinese nel 1948 erano e restano i profughi e i loro discendenti sparsi per il Medio Oriente, da metà agosto Musolino e altre decine di italiani partecipano alle “Carovane del Diritto del Ritorno”, in Cisgiordania, Libano e Giordania. Un viaggio nella memoria viva, seguendo il sentiero dell’iniziativa avviata nel 2000 a Beirut dal nostro Stefano Chiarini (scomparso nel 2007) – esperto per il manifesto di Medio Oriente e questione palestinese – per non dimenticare gli oltre 3mila profughi che furono massacrati nel 1982 a Sabra e Shatila dalle milizie della destra libanese, con la complicità dell’esercito israeliano che tre mesi prima aveva occupato il Libano.

Nel 1948 ha avuto inizio la diaspora per circa 800 mila palestinesi, costretti da allora a vivere in campi profughi, spesso privati di diritti fondamentali. Persone, oggi cinque milioni, condannate a non poter tornare alle loro case nonostante una risoluzione delle Nazioni Unite, la 194, sancisca il pieno diritto dei profughi palestinesi di rientrare ai loro villaggi, alle loro città d’origine oggi in territorio israeliano. Tutti i governi dello Stato ebraico, di ogni colore politico, hanno ribadito che non rispetteranno quella risoluzione. «Il 18 agosto da tre luoghi simbolo, tre campi palestinesi – aggiunge Musolino, parte della carovana in Libano – abbiamo ricordato al mondo che oggi ci sono palestinesi in Libano, come in Giordania, Siria, Iraq e altri Paesi, non ultimo il nostro Occidente».

Mai come in questi giorni è riemersa in tutta la sua gravità la condizione di questi cinque milioni di palestinesi. Soltanto donazioni giunte all’ultimo momento hanno permesso all’Unrwa (Onu) di coprire buona parte del suo deficit di 101 milioni di dollari e, quindi, di poter aprire regolamente il 1 settembre le sue 700 scuole nei 58 campi per rifugiati palestinesi. Altrimenti oltre 500 mila ragazzi non avrebbero avuto accesso all’istruzione. Nessuno può garantire che la crisi non si riproporrà il prossimo anno, alla luce del crescente disinteresse internazionale per la questione palestinese, causato solo in parte dalla gravità di altre crisi mediorientali, come la guerra civile in Siria ed Iraq. Senza dimenticare il secondo esodo che tante migliaia di palestinesi del campo profughi di Yarmouk (Damasco) hanno dovuto affrontare per sottrarsi ai combattimenti tra jihadisti ed esercito governativo siriano.

Sulla “memoria corta” dell’Occidente batte la giornalista Stefania Limiti, parte della carovana del ritorno giunta in Cisgiordania. «Molti in Italia non sanno che ci sono ben 23 campi in Cisgiordania e che 500 mila palestinesi vivono da profughi nella loro terra terra, senza la possibilità di poter tornare ai luoghi d’origine», sottolinea Limiti. «Nessun risarcimento – conclude la giornalista – potrà mai ripagare le sofferenze e le privazioni di decenni di diaspora. Il riconoscimento del diritto al ritorno per i profughi, un principio che unifica tutto il popolo palestinese, che supera le barriere e gli schieramenti interni, è l’unico modo per dare una soluzione all’occupazione».