Carola Rackete, Comandante della Sea Watch 3, è certamente una figura che si può definire «tragica» . La memoria torna all’Antigone di Sofocle, che scelse la pietà verso il corpo del fratello insepolto e per questo fu condannata dalle leggi che il nuovo sovrano aveva promulgato. Eppure, esiste qualcosa oltre le leggi, anzi, esiste qualcosa prima delle leggi, ed è ciò che ci fa avvertire nel profondo il senso di appartenenza alla stessa specie: quella umana. Quando le leggi sconvolgono quest’ordine superiore, immutabile perché ancorato al senso stesso della vita, ecco che si perdono i punti di riferimento più saldi, e si corre il rischio di scivolare sul piano inclinato delle distinzioni gerarchiche: nascono così le norme razziste, la xenofobia, il nazionalismo becero; a norma di legge si alzano i muri e si abbattono i ponti, si chiudono i porti ed i produttori di filo spinato vedono alzare il prezzo del loro classico prodotto. Il rifiuto di accogliere i naufraghi della nave della Ong da parte del Ministro degli Interni, si colloca esattamente da questa parte dello spartiacque tra giustizia e legge del più forte, cercando così, strumentalmente, di erodere una altro tassello di quella diga a protezione dei Diritti Umani fondamentali eretta dalla Nazioni Unite dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale.

Questa è la posta in gioco, niente di meno, e bene lo ha colto il Presidente della Repubblica quando, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, ha riaffermato la necessità che l’Italia adempia ai suoi doveri di solidarietà, assistenza e accoglienza, così come previsto dalla Costituzione Italiana e dal diritto internazionale. E pretendere di trattare le questioni globali, come quelle migratorie, spesso legate alla povertà, alle guerre, o ai cambiamenti climatici, a livello nazionale, o addirittura regionale, rileva di una miopia che le ondate di calore di questa torrida estete tropicalizzante dovrebbero invece inquadrare in una scenario rovesciato: quello della cooperazione internazionale, a partire dalla lotta ai cambiamenti climatici e la ricerca della pace. Anche su questo il Governo a trazione leghista sta cercando di imporre la sua visione strumentale e stravolgente della cooperazione interazionale. Mentre in Libia, infatti, si combatte apertamente, e dunque in nessun modo questo Paese può essere considerato un porto sicuro, il Decreto sicurezza bis istituisce presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale un «Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio», che lega gli interventi di cooperazione italiani con i Paesi partner ad una «particolare collaborazione» di questi ultimi nei rimpatri di soggetti irregolari. Ora, dato che ci si appella alle leggi, ma evidentemente a corrente alternata, cioè solo a quelle create da questo Governo tralasciando le precedenti, bisogna ricordare che la legge riconosce alla cooperazione allo sviluppo gli obiettivi di: sradicare la povertà e ridurre le disuguaglianze; tutelare e affermare i diritti umani; prevenire i conflitti e rafforzare le istituzioni democratiche.

Il Fondo proposto, dunque, snatura le finalità ultime della cooperazione allo sviluppo, introducendo per la prima volta in modo formale un principio di condizionalità sugli aiuti, che risponderebbero a interessi nazionali italiani più che ad obiettivi di sviluppo. E allora, mentre da una parte si accusano le Ong di essere dalla parte dei trafficanti di esseri umani, dall’altra si decide di foraggiare l’apertura di un “mercato dei rimpatri” in cui i Paesi partner possono aspettarsi di incassare un prezzo per politiche di riammissione collaborative. Ecco perché, in una recente lettera aperta, oltre 40 sigle di Ong hanno chiesto al premier Conte di ricorrere alle sue responsabilità per fare sì che le operazione di sbarco dei naufraghi delle Sea Watch 3 possano essere condotte nelle prossime ore, assicurando l’opportuna immediata presa in carico dei minori ancora a bordo e di tutte le altre persone bisognose di cure e supporto. Restare umani significa anche questo.