Pubblicato per la prima volta nel 1952, poco dopo Sconosciuti in treno, sotto lo pseudonimo Claire Morgan, The Price of Salt (in Italia Carol, edito da Bompiani) è uno dei romanzi meno conosciuti e più strani di Patricia Highsmith. Non un thriller psicologico come Il talento di Mister Ripley o L’amico americano (anche se a un certo punto un detective privato insegue due fuggitive con pistola, e la scrittura di Highsmith mantiene il suo perfetto timbro pulp), ma la storia di un amour fou lesbico, che inizia in un inverno newyorkese e poi continua on the road con squarci che anticipano Keruoac. Dalla prima scena, ambientata nella caffetteria dei dipendenti di un grande magazzino di Manhattan, radiografata dagli occhi di una commessa diciannovenne che vede il suo futuro nei volti opachi delle colleghe leggermente più vecchie di lei e nella fetta di roast beef grigiastro che le sta nel piatto, con la sua palla di pure di patate coperta di salsa scura, è un libro che –come il meglio di Highsmith – non si mette più giù fino all’ultima pagina.

Scomparso dalla circolazione poco dopo l’uscita è diventato con gli anni un romanzo cult omosessuale, The Price of Salt ha trovato una bellissima traduzione per il cinema, in Carol, di Todd Haynes, uno dei migliori adattamenti dai romanzi della scrittrice con cui si sono misurati, tra gli altri, Hitchcock, Chabrol, Renè Clement e Wim Wenders. E in effetti è uno dei titoli che spiccano (miglior film dell’anno per Variety, Film Comment e per l’associazione dei critici di New York, che lo ha premiato anche per la miglior regia, fotografia e sceneggiatura; più le cinque nomination ai Golden Globes).

5VISDXcarol

Dal mitico corto Superstar: The Karen Carpenter Story, a Safe, al sirkiano Lontano dal paradiso, alla miniserie per HBO Mildred Pierce, Haynes lavora da sempre sul melodramma femminile. Carol è un nuovo, incandescente, capitolo di quel percorso, in cui il grande direttore della fotografia Ed Lachman è stato, e rimane, un partner indispensabile. È una New York magica, di soffici color caramella, bagnata di luce calda, i suoi interni foderati di legni scuri, l’aria spruzzata di fiocchi di neve, il martini con oliva che si beve come l’acqua, l’atmosfera elettrizzata dal Natale….Lunghe, sinuose, macchine grigie per la strada, gli abeti in vendita all’angolo.

Therese Belivet (che ha l’aria assorta e misteriosa di Rooney Mara) sogna di diventare una fotografa ma intanto, per pagare l’affitto della stanzetta dove vive, fa la commessa da Frankenberg per il periodo delle vacanze. Ha un quasi-fidanzato gentile e paziente ed è cresciuta in un orfanatrofio. Ma sotto alla frangetta scura, seria seria, e dietro agli occhi rotondi, che si abbassano spesso come per umiltà, ci sono sogni più grandi. È di turno dietro al banco dei giocattoli quando, un pomeriggio particolarmente affollato, appare Carol (Cate Blanchett), alla ricerca di un regalo per la sua bambina. È avvolta in una nuvola di visone come un personaggio di Barbara Stanwyck, i lunghi capelli biondi chiari, gli zigomi appuntiti, gli occhi penetranti. È subito una danza di sguardi, di fascinazione, quello tra la ragazza povera e la ricca, elegantissima, signora più vecchia di lei. Carol compra il giocattolo, Therese le scrive un biglietto, Carol la invita a pranzo, poi nella casa in New Jersey…

Per lo più si guardano passano del tempo insieme, senza nemmeno parlare molto. A volte Therese si addormenta per qualche ora nella grande casa bianca, dove il marito di Carol appare ogni tanto con la speranza di rabberciare un matrimonio che, sa anche lui, non ha più senso. Haynes mette in scena l’innamoramento tra le due donne lentamente, con dolcezza, il riserbo e la pudicizia dei Fifties. Che non è repressione- perché entrambe sanno esattamente cosa vogliono e Carol presenta alla sua nuova amica anche quella che è chiaramente una vecchia fiamma, Abby (Sarah Paulson).

L’autrice teatrale inglese Phyllis Nagy, che firma la sceneggiatura, sfronda moltissimo tutta la seconda parte del romanzo e concentra la storia a New York e dintorni. E, mentre il libro è sostanzialmente scritto dal punto di vista di Therese (che sulla pagina è anche più ambiziosa e quasi un po’ manipolatrice), il film è raccontato quasi tutto in oggettiva.

Fedele alla scrittura precisa, vividissima di Highsmith, anche Haynes lavora di grande dettaglio: quello di Carol è un erotismo giocato in gran parte a distanza, e sui particolari – di un polso, una caviglia, del rossore improvviso che appare su una guancia, di una ciocca di capelli fuori posto…come visti dagli occhi delle due amanti. E il senso di quanto sia prezioso quel tempo passato insieme, anche quando non succede quasi nulla («la» scena di sesso avviene molto in là nella storia), si sente fortissimo. E, diversamente da Lontano dal paradiso, il cui l’erotismo tra Julianne Moore e Dennis Haysbert, era come congelato dall’impossibilità delle circostanze e dalla bellezza formale, questo è un film che trabocca di desiderio. Quasi giocosamente, a tratti; grazie anche all’interpretazione magnifica di Rooney Mara che dà a Therese la cifra originalissima di un rebus trasparente.

«Fuori», il mondo dell’America del Dopoguerra, non è ancora pronto per un amore come quello di Carol e Therese. Haynes ce lo ricorda qua e là, senza forzare la mano – negli ammonimenti preoccupati di Abby e quando il marito di Carol cerca di ricattarla portandole via la bambina – non perché è un uomo spregevole, ma perché la ama ancora e non può accettare che finisca così. Allo stesso tempo, ci mostra il film – ed è parte della sua grande intelligenza- quello che sta succedendo a Carol e Therese è una delle cose più naturali del mondo. E anche delle più belle.